02 febbraio 2021

Lorenzo Susigan, San Floriano (fraz. di San Biagio di Callalta TV), 1944

Lorenzo Susigan,
San Floriano di Callalta
Intervista telefonica, sabato 19 e domenica 20 dicembre 2020. 
File 2012190120122001 - (Contatto procurato dal prof. Ivano Tiveron).

Lorenzo Susigan, 8.6.1944. Pensionato, dirigente carrozzeria industriale.
Susigan abita vicinissimo all’ex osteria con bottega de casoín di S. Floriano: l'osteria "da Piero De Marchi” (detto Piero Osto). Esercizio commerciale che dopo il cambio di un paio di gestori chiuse, trasferendo la sola osteria nella vicina Olmi.

02:12 - In paese, era l'unica osteria che aveva il gioco della borella?
Paese! Diciamo che San Florian, San Floriano, era una frazione del comune di San Biagio di Callalta ora unita a Olmi, pure frazione di San Biagio. 

  
L'antica chiesa di San Floriano di Callalta (TV) - Foto: 6.3.2021
Oggi è un paesetto con chiesa, cimitero e un poche di case.
Oltre alla borella c’era il gioco delle bocce e mio papà giocava alle bocce. Ricordo quando ero piccolo che avevano fatto i giochi nuovi, due dei quattro giochi (corsie) del gioco delle bocce con gettata di creta … e siccome mio papà Francesco (detto Leo) faceva il muratore ha contribuito alla loro realizzazione.
04:27 C’erano quattro giochi di bocce e uno di borella
- Alla borella era una minoranza che giocava?
C’era una clientela che veniva anche da fuori paese. Ci voleva forza perché lanciavano una boccia di legno con cui buttare giù i tre sóni […]
Due sóni: ganbarèl ; tre sóni: sanmartin.

04:39 - E lei faceva el boreín.

Facevamo lotta noi bambini per farlo: io ero il più vicino e prendevo più facilmente il posto di quelli che venivano da più lontano: e una volta preso il posto era difficile cederlo, perché ti davano quei sínque dièse franchi

- Andavano bene per un bambino, specie in quegli anni là. 

[... Dati anagrafici suoi e del padre…]

05:37 Io non sono nato qua, sono nato ad Arsiero. Mio padre era militare a Cittadella e andava a fare le marce su ad Asiago e ad Arsiero e là ha incontrato mia mamma e nel febbraio del 1943 si è sposato. Ha avuto una licenza per il matrimonio e poi è ritornato sotto le armi, finché nel settembre del 1943 ha disertato ed è tornato su ad Arsiero, dove io sono nato nel ‘44. Arsiero è un paese sulla vallata dopo Piovene Rocchette. [...]

07:05 Mio papà è partito da qua a 11 anni ed è andato in Piemonte a servire dai contadini finché l’hanno chiamato militare e destinato a Cittadella da dove andava a far le marce su per l’Altipiano…

Ernesta Fabrello e Francesco (Leo) Susigan,
genitori di Lorenzo, nel 1943.
(Dal libro Ricordi di San Floriano)
L’8 settembre 1943 si trovava a Roma. Ha disertato insieme a uno di Postioma, e dopo parecchie peripezie, in treno e con l’aiuto dei ferrovieri che si fermavano e facevano scendere i soldati e poi li riprendevano più avanti... ci ha messo una settimana da Roma ad arrivare a Arsiero, dove ha lavorato fino alla fine della guerra sotto la Todt.

08-24 - È rimasto un po’ imboscato.

Imboscato, sì. Però una volta, raccontava mia mamma, le brigate nere l’avevano preso e portato in municipio per essere impiccato. L’hanno tenuto lì una giornata e poi sono riusciti a farlo liberare. [...]

Siamo venuti qua a San Floriano finita la guerra, nell’ottobre del 1945.

- Gli è andata bene, quella volta con le brigate nere…

[Mi invita a leggere I giorni di Caino [di Antonio Serena] dove "parlano di Arsiero riguardo a una donna che lavorava in comune e i partigiani le hanno fatto di tutto, dentro una vallata dove abitava mio nonno materno e lì c’era anche un ospedale dove è stata martirizzata questa donna"].


10:32 - Mi racconti di questa borella: in fin dei conti erano una minoranza, rispetto a quelli che giocavano alle bocce.

Diciamo che alla domenica dopo vespro la gente si trovava e giocava… I giochi delle bocce erano tutti pieni e dopo, verso sera, giocavano a borella; tante volte anche al pomeriggio, sempre di domenica; sennò tante sere anche durante la settimana, alle volte anche al sabato e alla domenica.  C’era parecchia gente che guardava chi giocava alla borella, guardavano i giocatori più bravi, parteggiavano per l’uno o per l’altro. 

11:22 Mi ricordo che dicevano che c’era un certo Pontel [Cervi], che mi pare venisse da San Paè (San Pelagio TV).

- L’ho già sentito nominare.

Era fortissimo, dicevano. Io ero più giovane quando lui bazzicava qua.

- Ciliano Pontel.

Esatto.

- Dicevano che era un fenomeno come giocatore.

Esatto, bazzicava anche lui a San Floriano a giocare la borella. [...]

Dopo magari c’erano quelli che avevano più forza nelle braccia, lanciavano la boccia con più violenza e facevano più spesso ganbarel e sanmartin, oppure erano bravi a fare baƚa al són, dicevamo noi.

12:21 - Baƚa al són: cosa vorrebbe dire, termine tecnico?

Perché era facile fare anche "buco" fra i sóni, oppure la baƚa scattava a destra oppure era troppo corta rispetto al primo e non prendeva niente.

- Baƚa al són voleva dire prendere un són solo?

Sì’, c'era uno, magari di quelli costanti, che tirava una boccia - perché a ogni giro tiravano due-tre bocce a testa, e c’erano di quelli più costanti che facevano baƚa e són, oppure baƚa e ganbarel, i più bravi.

- Oppure baƚa e sanmartin.

Eh ben, quello era un fiantín [un po’] più raro. Dopo c’erano anche quelli più bravi con la boccia magari a “pelare” il primo e a prendere il secondo (són) in pieno e buttarlo su per il terzo, ed era sanmartin. [...]

Oppure chi aveva più forza prendeva il primo forte e ingrumava tutto in fondo, sullo steccato.

13:23 - I sóni erano sopra un cavaƚon?

Sì, c’era una specie di solco [di rialzo] come quello delle pannocchie, diciamo.

- Fatto in terra battuta, in cemento?

Con la terra. Dove di solito cadevano le bocce si formava come una buca, una specie di cunetta che era proprio “l’invito” per colpire i sóni

- Dopo, bisogna rifarlo ogni domenica, il rialzo…

No, no: era terra battuta bene. Non è che la baƚa pestasse su questo concòl [rialzo], perché saltava; se la tiravano forte, la lanciavano su per i sóni. Dove la buttavi, prima del salto, là si formava la buca, qualche metro prima dei sóni.

- Perché prima la baƚa toccava terra e dopo [i sóni].

14:30 Esatto. Non è che tu la lanciassi a raso suolo. La lanciavi e con la mano la giravi perché cercavi di buttarla un po’ sulla destra perché dopo andasse verso i sóni (per chi era destro, e il sinistro viceversa). 

[...]

16:22 - C’erano gare due contro due, tre contro tre - a quanto ho capito - e quando la facevano individuale, com’era chiamata questa gara, aveva un nome?

Erano gare improvvisate… fra due tre che si ritenevano bravi, non so, da San Florian contro tre che venivano da fuori. Erano gare improvvisate, non erano gare vere e proprie come quelle delle bocce.

- Erano tre contro tre, mettiamo; non che ci fossero state 20 persone, che ognuno giocava la sua …

No, no. Erano squadre di due tre persone.

- E quante bae avevano a testa?

Si mettevano d’accordo prima se giocare due bocce e allora il bureín gliela buttava indietro; oppure ne giocavano tre. Erano dalle due alle tre bae alla volta, che giocavano. Dopo, se erano ad esempio in tre sulla squadra, invece di tre bae ne giocavano due a testa, dipendeva da come si mettevano d’accordo fra queste squadre.

- Ogni giro lo chiamavano un cèo, ho sentito dire a Santa Cristina, Lino Rossi.

Beh, io questo non lo so.

- Bisognava vincere due giri.

18:21 Sì, come si fa con il gioco delle carte. Alla scopa, quando si vince una e una, dopo se fa a bèa.

- Spareggio, insomma.

Esatto, per decretare il vincitore. Mi ricordo che giocavano, “i ciamava fora” [ordinavano] litri: “Tre quarti e ‘na gazosa” o una cassa di birre, se la giocavano… quello sì me lo ricordo.

- Litri di vino o gazosa?

No: tre quarti [di vino] e una gazosa, sennò il vino… Oppure casse di birra. Chiamavano: “Cossa zoghemo? Na cassa de bira!”, quella era [la posta in gioco].

- Quando c’era la sagra andavano avanti parecchio e alle volte giocavano anche a soldi, ho sentito dire.

19:23 Beh, quello là io, a quei tempi… può darsi che avessero giocato anche a soldi, ma quello che da in fondo, el bureín, ributtava e bae, non lo sapeva. È come quando adesso, sulle osterie, dove si trovano e giocano a ramino a schei. Schei non ne vedi ma si sente, dopo, che [qualcuno] si è mangiato la campagna o la casa .

- Perché ho sentito anche questo… è abbastanza normale.

Ce ne sono anche qua agli Olmi, sì, parecchi. Io non pratico, perché è dal 1986 che ho smesso di giocare alle bocce, per motivi di lavoro, non sono neanche più andato in osteria.

- Ha smesso giovane, allora, perché se è del ’44...

Lavoravo a Lanzago da Franchin, che faceva carrozzerie industriali. Diciamo che ero il primo disegnatore che è venuto da Franchin. Perché prima aveva uno studio a Treviso, l’ingegner (erano tre fratelli), proprio di fronte all’obitorio, in via Toniolo, proprio sull’angolo. Prima sono stato un anno là e poi sono venuto qua in officina a Lanzago.

Quando poi hanno chiuso sono andato in giro per il mondo e ho abbandonato le bocce: non avevo più tempo di allenarmi...

20:55 Perché non giocavo per passare il tempo, giocavamo per categoria, sono andato ai campionati italiani.

- Addirittura!

Sì, sono andato a Battipaglia (Salerno). Poi, qua da noi - ero anche arbitro regionale - e ogni tanto quando facevano i campionati italiani a Brescia oppure a Bergamo, ho fatto l’arbitro, nelle eliminatorie.

- Con che squadra giocava?

Di bocce, volevamo fare una società agli Olmi, dove c’è il “Sole”, l’osteria che era partita qua da San Floriano e si era spostata là… ma hanno detto di no, allora con un altro giocatore siamo andati a Pezzan di Carbonera. Prima si chiamava società bocciofila Munari, era sponsor quello dell’omonima cartiera e dopo è cambiata in società bocciofila Pavan Salotti, da Lancenigo. Sono stato là fino all’80 e dopo ho cambiato e sono stato al Boschetto di Treviso, del cav. [Agostino] Scomparin.

22:37 - Cera anche un certo Bompan?
Il giovane Paolo Bomban, campione di bocce trevigiano.
(Gazzettino 13 settembre 1968)
Sì, cera Paolo il più giovane (e il più bravo) e Piero, il più vecchio.

- Quindi ha giocato a livelli alti, alle bocce.

Sì, abbastanza.

- Invece con il lavoro ha dovuto girare il mondo.

Quando ha chiuso Franchin sono stato cinque anni a Carmingnano sul Brenta. 

- Sempre a fare il disegnatore?

No. Ho cominciato come disegnatore. Dopo, quando sono venuto in officina, l’ing. Franchin aveva idee buone e là abbiamo fatto … non so se lei conosca come funzionano queste carrozzerie industriali:  si facevano carrozzerie particolari per il volume, c’era bisogno di più volume, ferma restando la portata. Era il tempo dei mobilieri, si tagliavano i camion e li si allungava. 

Sono stato il primo cui Franchin ha fatto smontare un furgone di quelli “prefabbricati” americani: abbiamo scopiazzato e creato una linea nostra. Era un camion straniero, non so se europeo o americano, che si chiamava Cargo Van.

Io, fino a un certo punto sono stato disegnatore, poi ho cominciato a coordinare tutta la produzione, dal commerciale al tecnico. Coordinavo il tutto.

25:27 - Che scuole aveva fatto, per avere queste capacità?

Sono robe che a quel tempo si imparavano lavorando. Ho fatto la terza media, e poi il primo anno dell'istituto tecnico (quando è venuto il Pacinotti a Treviso, dove ora c’è il Giorgi) mentre il secondo anno, quando l’istituto ha cambiato nome e si chiamava ITIS sono andato a Lancenigo, sulle scuole là, vicino alla stazione. Dopo non ho più continuato. 

- La scuola media una volta era quella col latino...

Sì, per fare le medie - al mio tempo -  ho dovuto fare l’esame di ammissione.

Sono andato a fare una preparazione particolare a  Silea e dopo sono andato a fare un esame per essere ammesso alle medie, che ho frequentato a San Francesco (Treviso), quando ancora c’era tutto l’edificio lungo destinato a scuola. Le scuole medie le ho fatte quando non erano obbligatorie, ma era un pallino di mio papà, che faceva il muratore e mi diceva sempre “vai a scuola”.

- Ha avuto una buona idea, e così ha avuto soddisfazione anche lei sul lavoro.

Sì. Fatti due anni all’ITIS,  ho iniziato a fare il disegnatore nel 1961 alle Fonderie Vecchie [Santa Maria del Rovere], dove adesso c’è la baƚadora. Là c’era Scardellato, c’era [Fi ...], c’era Colla e dietro c’era anche il geometra Tobaldo dove io ho iniziato a lavorare. Nel 1963 sono venuto via e sono andato da Franchin a Lanzago, dove sono rimasto finché ha chiuso. 

Dopo sono stato per cinque anni (fino al 1992) a Carmingnano [di Brenta]. Poi ho avuto la fortuna - su richiesta di un amico con cui avevo anche avuto rapporti di lavoro - di tornare qua a Treviso, da Scanferlato, a Quinto, quello che faceva teloni e anche carrozzerie industriali. E là sono rimasto fino alla pensione. Quando sono arrivato io l'officina era diretta da Luigino, il più giovane. Quando è arrivata la crisi del 2008 c’è stato un po’ “de rabalton” ma la ditta continua ancora, e ogni tanto vado a trovare i miei ex operai, magari se ho bisogno di fare qualche lavoretto per me...

29:39 - Ritornando alla borella - perché ogni vita sarebbe un romanzo, e a me piacerebbe anche ascoltare queste storie - non è che lei abbia qualche fotografia?

No … a quei tempi la! Mi ricordo che la bottega del casoín e l’osteria avevano fatto delle cartoline della chiesa, cimitero e osteria, e dopo quando l’oste è andato via dal paese… No, non ho più niente, a quei tempi si buttava via lo roba vecchia, perché vegneva el novo

- Comunque ricorda che era molto praticato questo gioco.

Sì, la borella era molto praticata, so che tante volte partivano da qua e andavano a Nerbon, dove c’era un’altra osteria con due giochi di bocce e giocavano la borella anche là. [...] L’osteria è vicina a un capitello, che è sotto San Biagio di Callalta.

33:08 - C’è ancora il gioco, in quell’osteria?

Sparito tutto. Con l’evoluzione dei tempi, c’era bisogno del parcheggio, perché una volta si andava in bicicletta; così quello spazio, che andando verso Silea è proprio là in strada sulla curva, è diventato parcheggio.

- La borella, secondo lei, in origine, era giocata più da contadini, operai, impiegati…?

Beh impiegati, a quel tempo, non ce n’era neanche uno!

- Lei poteva considerarsi un impiegato…

Infatti io ho iniziato come impiegato a basso livello, dopo ho finito col 7° livello per meriti di lavoro, ma al tempo in cui ero piccolo non c’erano impiegati.

Nei vari paesetti, dove c’erano questi giochi: era un ritrovo, l’unico ritrovo, perché cinema non ce n’era e quando andavi a messa o a vespro alla domenica si giocava, e alla sera del sabato, o nei giorni di sagra. [...]

- Facevano anche tornei di borella? Tipo campionato provinciale?

Questo non lo so. Comunque a partecipare erano i contadini o gli operai del paese e dopo, se il posto “si faceva un nome” - come noi a San Floriano, che eravamo un po’ fuori strada, un po’ in disparte - là giocavano fino a tardi, la notte. Non c’era, a quei tempi, gente che protestava perché stavano a giocare fino alle due e alle tre di notte; così veniva più gente, c’era più giro.

36:38 - Era ben frequentata, insomma, la vostra borella di San Floriano.

Sì, molto ben frequentata.

Infatti, dopo che è andato via Piero Osto, nell'osteria è venuto un certo Alban, che è rimasto quattro cinque anni, adesso non ho presente quanto. Con lui c’erano sempre i cicchetti. Partiva una volta alla settimana in bicicletta, andava a Treviso a comprare il pesce e dopo andavi in osteria a bere l’ombra e a mangiare il cicchetto di pesce, la seppiolina. Poi Alban è andato via, ha lasciato l’osteria perché ha fatto i soldi, e ha messo su un negozio a Canizzano.

37:21 - Ah, Toni Cipri, lo chiamavamo!

Esatto, era suo padre, perché adesso c’è Franco. Toni Alban era qua a San Florian. Partiva in bicicletta, con quelle biciclette di una volta con la cassetta dietro nel portapacchi, e andava a prendere il pesce che poi si mangiava.

- La ferramenta di Canizzano tiene botta anche adesso, pur essendo piccola. Non è facile tenere aperta una ferramenta in un paese piccolo come Canizzano.

38:11 Se è il locale è tuo si può fare, se lo prendi in affitto no.

- Penso che la casa sia sua.

Sì, certo. Perché so che al tempo in cui è andato via da qua dicevano - io ero ancora giovane - che aveva fatto tanti soldi, perché qua l'osteria era molto, molto frequentata proprio anche per merito suo.

- E dopo di Cipri, di Toni…

C’è stato un certo Fedele Martignago da Volpago, un pochi di anni, e dopo è venuto Tomasella che aveva parenti a Oderzo. Erano due sposi e lui era stato in Belgio a lavorare; sono rimasti a San Floriano fin quando il prete ha fatto la chiesa là agli Olmi, e anche loro si sono spostati a Olmi [osteria Al Sole].

39:20 - Adesso a San Floriano non c’è più niente di questa osteria?

No. A San Floriano ci sono due tre famiglie, e basta. Dove c’erano i giochi delle bocce e della borella a un certo punto hanno arato e messo orto e mi ha pianto il cuore perché anche mio padre, mi ricordo, aveva lavorato a sistemare i giochi.

Adesso quel terreno è stato venduto, hanno fatto una lottizzazione e c’è una specie di giardino dove dovrebbero andare a giocare i bambini, ma sono di più le donne o gli uomini che portano i cani.

Diciamo che San Florian, come paese, è morto. Infatti Ivano [Tiveron] e un nostro amico hanno fatto il libro con i ricordi di San Floriano… non so se l’ha visto. Se lo vuole ne ho tre quattro copie e se ha occasione di passare per di qua, venendo giù dalla Callalta, prima di arrivare in piazza, davanti al cimitero, sulla curva abito io. Una volta c’erano un pochi di alberi e adesso non ci sono più, sono stati tagliati perché erano troppo alti. […] Ivano ha fatto un bel lavoro, se viene le do il libretto.

[Saluti finali]

44:41 : fine conversazione


La secolare meridiana della chiesa di San Floriano di Callalta.
Motto: Dopo la notte il giorno; scritta sulla destra in alto: Festa di Tutti i Santi.
Restauro eseguito nel 2001 da Mosè Pavanello,
con la supervisione dell'esperto di gnomonica Enio Vanzin.
(Informazioni raccolte da Lorenzo Susigan)
Foto: 6 marzo 2021, ore 17:15


***


File 20122001 : Precisazioni del giorno successivo (20 dicembre 2020) 


Susigan -  Le ho telefonato perché mi era venuto un dubbio, ho telefonato anche a Ivano… lei ha visto ancora giocare a borella?

- Sì.
00:30 Perché ieri sera non le ho mai detto di quando si lancia la boccia, che se a reménava co a man… remenàr a baƚa… che se la boccia passava davanti al són dicevano che era stretta, se invece andava via larga e andava in fondo sul sóco era larga. Erano questo due termini [...]
01:12 Remenàr, perché le si dava el giro, perché non la si tirava diritta ai sóni : la si tirava un po’ sulla destra, quelli che erano destri, … perché dopo prendeva il giro e andava su per i sóni.
- Me l’aveva detto anche ieri. È un punto fondamentale questo, del gioco.
Sì, certo. Anche il discorso delle bae… [...]
02:09 - A proposito di bae [...] di che legno erano fatte?
[...] Erano di legno locale, ma ce n’erano di più pesanti e di meno pesanti. Per intendersi, un legno di pioppo non poteva essere, sennò era troppo leggero, e anche si sarebbe spaccato subito. Ma ho visto altri che avevano bocce di un legno duro e anche più pesanti.
- Infatti parlando con uno da Cavrìe[spiego quanto mi diceva Giacomo Trevisiol, incontrato all’osteria delle Crosere].
Erano tutti legni locali... [...]
[Accenno a Susigan a che punto sono con la ricerca....]
05:34 - Ho fatto organizzare nel 2013 all'agriturismo Al Sile di Lino Rossi a Santa Cristina una dimostrazione di borella. 

[Invito S. a guardare i video su internet… ma, dice: «La tecnologia l’ho rifiutata, perché - quando lavoravo da Franchin -  avevo tanta memoria. Tutto quello che succedeva intorno "lo vedevo in testa" [...] e quando sono usciti i primi computer, nel 1974, ricordo, ho anche detto al mio principale "se mi mettete davanti alla televisione, io vado via subito". Avevo il dono di avere tanta, tanta memoria». - La conversazione prosegue parlando del suo lavoro di dirigente nelle carrozzerie industriali]
[...]
09:51 - Ritornando alla borella, 
il termine tecnico era remenàr la baƚa.

Sì, bisognava lanciarla in modo che facesse una parabola e che, cadendo sulla buca che si creava dopo tanti tiri vicino al primo són, da lì rimbalzasse su per gli altri due sóni, per farli cadere e fare ganbarèl o sanmartin. [...]

È come quando si gioca a tennis che gli danno quel giro con la racchetta per buttarla sull’angolo più lontano. E sul calcio lo chiamano al giro in modo che faccia una curva: pressappoco è la stessa tecnica.


[Rinnovo la ricerca di fotografie storiche sul gioco della borella e la conversazione continua  per alcuni minuti. Il sig. Susigan assicura che coinvolgerà suo figlio e la nuora per la visione su internet.

Si accenna al campo di gioco di bocce da Toccane a San Giuseppe dove Lorenzo Susigan ha vinto la sua ultima gara regionale di bocce.

Assicura che chiederà se ha delle foto a un suo amico appassionato dei ricordi di San Florian, che un giorno gli mostrò una foto con la “croce Rossa” del paese: un cavallo con la carretta che suo nonno utilizzava per portare in ospedale chi ne aveva bisogno].


14:44 : fine della conversazione.


Ricordi di San Floriano [di Callalta] il bel volume curato
da Ivano Tiveron nel 2018, cui hanno collaborato
Lorenzo Susigan "vera bandiera della vecchia San Floriano"
e Alfonso Zanetti, ovvero "l'eredità dell'etica del lavoro".
Un amarcord sull'antico villaggio sorto ai bordi della
centuriazione romana lungo la via Claudia Augusta,
che fu parrocchia a partire dal 1545 e che oggi 
«è un paesetto con chiesa, cimitero e un poche di case».


Sergio Perini, Bombardamento della ferrovia 
nei pressi di San Floriano Callalta
(Seconda guerra mondiale).
Omaggio di Ivano Tiveron, 2 aprile 2022.

Nessun commento:

Posta un commento

PAGINA INIZIALE

Conscio di Casale sul Sile (TV), 1988, durante una gara dell'antico gioco della borella, praticato in Veneto nelle province di Treviso, ...