22 gennaio 2021

Antonio (Toni) Busatto, San Giuseppe di Treviso, 1935

Antonio Busatto, San Giuseppe di Treviso 1935,
testimone (e campione) del gioco della borella, 
in una foto del novembre 2015
Nastro 2008/3 – Lato A - Intervista effettuata nell'abitazione di Busatto, martedì 8 aprile 2008

Antonio (Toni) Busatto, che di mestiere era impiantista elettrico, abita a pochi passi da quella che fu la storica osteria-trattoria Da Busatto (gestita dal padre Luigi fino al 1953), poco distante dalla chiesa e all'inizio della Noalese, sulla destra in direzione Padova. L'osteria Da Busatto, oltre ai giochi di bocce, aveva una "borella" molto frequentata, anche perché vicina alla città di Treviso. 
È presente all'intervista, e talvolta interviene, il prof. Mario Vezzà, che ha procurato il contatto

Busatto -  Ho preparato un piccolo riassunto, in modo che lei abbia un promemoria. Dopo vede lei cosa gli interessa [...] Qua c'era la trattoria con giochi di bocce e borella.
- Era già lei che all'epoca gestiva? 
Io ero fiol. Era mio papà Luigi, che era uno ... il più forte giocatore! Mio padre era del 1891 e io sono del 1935.
- Toccane, di nome cos'è?
Trattoria Toccane, era chiamata. Amedeo era il vecchio e i figli Mario, Giancarlo...
"Da Busatto alle Fornaci" era di fronte a Pagnossin, dove adesso c'è quel ristorante. Anche là c'erano giochi di bocce e borella.
Vezzà -  Là ricordo di aver giocato anch'io la borella.
A QuintoAl Gambero, c'erano giochi di bocce e borella anche là, e anche da Righetto, dove si mangia la bisata, c'era il gioco della borea. 
02:11 Era lungo il Sile, davanti al municipio aveva una fetta di terra. Drio l'aqua, là c'era la borella, disposta lungo il corso dell'acqua. E giocavano anche tanto, là; ci andavo anch'io, ai tempi. A Badoere era vicino al mulino, ma non ricordo il nome. 
- E quindi sarà stato Morgano.
No, Badoere, no: a Sant'Alberto era vicino al mulino. 
03:00 A Badoere era sulla piazza, su un'osteria. Ricordarsi i nomi è un po' difficile. A Sant'Alberto, vicino al mulino, dove c'era l'acqua, c'era un'osteria dove avevano la borella, proprio.
- Là era sullo Zero. 
Sullo Zero, sì. C'era l'acqua vicino. Avevano proprio la borella adiacente a l'acqua.
A Santa Bona, i ghe ciama Dal Carabinier.
- C'è tuttora quest'osteria?
Vezzà - Dal Caramba.
L'osteria c'è tuttora. Dal Caramba.
Vezzà - A Santa Bona Vecchia [Nuova]: 
un poco prima sulla destra c'è il supermercato Sole, mi pare; l'osteria è sulla sinistra. 
04:07 Busatto  - Quella che ha la muretta, lungo la strada, la muretta di sassi; di là della muretta c'era la borella, "Dal Caramba". L'osteria c'è ancora.
- A Monastier?
A Monastier si trovava dove adesso c'è il bocciodromo. Prima del bocciodromo, fuori, avevano una borella. Non so se il padrone era Graziani, all'epoca. A Ponte di Piave era in centro paese sulla destra. Proprio in centro c'era un'osteria che aveva giochi di bocce e di borella. In centro proprio, sulla piazza. (Quattro giochi di bocce e uno di borella). 
05:23 Mio papà Luigi, era forte, e anch'io ero forte! Non ho problemi a dirlo, basta che lo domandi a chi  giocava.
- Non ha neanche una foto di quando giocava? Non c'era nessuno che faceva foto, allora?
La borella era un gioco così, paesano, diremo. Non c'erano gare con coppe, ecc., una volta. L'aranciata, la bibita, la birra, quello che è; sennò giocavano a soldi... ma l'ho scritto.

Memoria dattiloscritta di Antonio Busatto sul gioco della borella.
Sono citati come forti giocatori (oltre ai Busatto): Alessandrini, i fratelli
Cervi [Pontel] Giancarlo e Ciliano e Gino Matiuzzo da Monastier.
06:46 Si giocava a coppie, a terne e individuale.. L'individuale era chiamata Mestrina. Quando si trovavano in tanti giocatori, non si poteva fare copie o terne, si faceva individuale, la Mestrina: si buttavano quattro bae – ognuno quattro bocce – chi buttava giù più sóni vinceva. In caso di parità: due bocce per spareggio e dopo veniva fuori il vincitore. Solitamente giocavano alla Mestrina, quando puntavano soldi. Perché era un gioco individuale. Mettevano una "posta" ogni uno, trattenevano la mancia per el boreín. (c'era di solito un ragazzo giovane che buttava indietro le palle e metteva in piedi i birilli (i sóni ).
Quello che vinceva, vinceva tutti i soldi, le puntate dei partecipanti, meno la quota del boreín ; insomma, prendeva, non è che giocassero grandi cifre. 
Dopo le cifre sono andate anche oltre, ma comunque è meglio lasciar stare...
08:23 - Come con le carte, d'altra parte.
Come con le carte . C'erano sempre quelli che eccedevano. Un conto era giocare le dieci lire, un conto era giocare mezzo milione, e c'erano certi che si mangiavano tutto.
- Il gioco a soldi era solo con la Mestrina, non squadre contro squadre. 
Individuale. I più forti venivano sempre fuori, alla fine. [...]
Per esempio Giancarlo era uno che ... non è che facesse una marea di soldi, però era molto positivo. Era regolare. Tre e tre, tre e quattro, sbagliava poco. Invece io "avevo una palla" un po' più lanciata, a volte facevo anche... Eh, abbiamo giocato assieme diverse volte, [con Giancarlo Cervi Pontel]!
09:58 - Cosa vuol dire "tre e tre"?
Tre bocce, tre birilli (sòni) abbattuti. 
Ci sono due termini da ricordare, nella borella. Due sòni buttati giù [due punti] sarebbe ganbarel. Tre sòni – tutti e tre - a buttarli giù si fa sanmartin [tre punti]. Giancarlo Cervi, con tre bocce, lui faceva sicuramente tre punti perché era molto positivo e a volte anche quattro. Ma c'era chi faceva anche di più, poteva fare sei...  
- Un record, che lei ricordi, con tre bae?
Con tre bae uno che faceva tanto, faceva sette: tre e due cinque e due sette, ma era proprio una cosa eccezionale.
- Il campione, come suo papà, per dire, riusciva a farlo...
Tre bocce e cinque sóni era una media forte.
- Anche lei personalmente, qualche volta ci è arrivato.
Sì, sì: tre bae, cinque sóni.
11:12 - La tecnica giusta, già che stiamo parlando di tecnica: la baƚa, dove doveva arrivare, per fare un bel colpo?  
La baƚa doveva arrivare sulla destra dei birilli, perché veniva lanciata "col giro"...
- Come si dice in termine tecnico?
Busatto e Vezzà: "Boreàda"
Busatto - Boreàda lo dicevano una volta. Ma la parola in dialetto è remenàda : un giro forte [su sé stessa]. Lanciandola forte qua, girandola, batteva in terra e andava verso i sòni. [Bisognava farla cadere] sulla destra, prima del primo birillo; mezzo metro, un metro. Poi dipende dalla potenza che uno dà al suo lancio. Che se uno la lanciava piano bisognava che la portasse più avanti; se la lanciava più forte doveva cadere più indietro, perché la boccia saltava di più. Bisognava essere precisi sul lancio, e darghe a remenàda giusta.
13:00 - Perché dice che questo è già nuovo, questo "gioco" di Conscio? [Gli mostro la foto].
Perché mettono la gomma. Una volta non c'era gomma, c'era terra, che veniva pestata, dopo, a fine gioco o con un martinetto o con un rullo o bagnata, in modo che si [compattasse]. Era di creta, fondo di creta, "spurgo" di ghiaino delle cave di ghiaia, qua della zona: quel fondo là s'impattava. [...] Facevano anche i giochi di bocce, con lo stesso materiale, in modo che [la corsia di gioco] diventava dura, compatta. [...]
14:27 - La base sotto, cos'era?
Creta.
- E sopra ci mettevano questo...
Niente, proprio il fondo veniva fatto con uno strato alto di "spurgo" di ghiaino, della lavorazione della ghiaia delle cave, di Biasuzzi. Si andava a prenderlo là e veniva impattato bene con un martinetto (a bécanéa) : erano due manici con un ceppo di legno così; l'importante era pestare. Era l'osto che lo faceva.
E poi il rullo, avanti - indietro. Ma le dirò che dopo, una volta che il gioco si era assestato, bastava rastrellare un poco, far piano e bagnare: la terra si impattava.
15:44 - Ma se pioveva forte?
Dopo si sistemava. C'era questo bel fondo di questo "spurgo di ghiaia". 
Dopo hanno iniziato con queste gomme, e le gomme non fanno più la buca. Dove arriva la boccia, scava sul terreno; invece la gomma resta sempre uguale.
Perciò il gioco è cambiato, con le gomme, perché la boccia fa un salto diverso. È un'altra forma di gioco, insomma. [...]
Le buche [sulla corsia di terra battuta] venivano spianate alla sera o alla mattina, perché a volte andavano avanti fino alla mattina a giocare. 
17:01 Se partivano al sabato di sera, al sabato pomeriggio, andavano avanti anche fino alle quattro - cinque della mattina.
- Magari se c'era questa famosa Mestrina; ma perché Mestrina?
Non so perché la chiamassero Mestrina; il nome era quello.
- Perché oltretutto a Mestre non è che fosse tanto giocato, questo gioco. Mi dicevano che arrivava dalle parti di Peseggia...
Sì, Peseggia, Sant'Alberto, Scandolara, quei paesi là. Ma Mestre no. 
- Alle Portegrandi sì, a Casale... 
Conscio, Nerbon, Monastier ... sì, ce n'erano dappertutto . Il centro [del gioco] era qua, nei dintorni.
18:16 - Ha mai conosciuto un poeta che si chiamava Gino Tomaselli (Cafè nero)? 
Poesia La borèa, del poeta trevigiano 
Gino Tomaselli (Cafè Nero), pubblicata
nel volume Colpi de sol, del 1971.
[Autore della poesia La borèa ]
No.
- Perché mi dà l'impressione – lui che era da Treviso – che venisse giocare qua.
Sì, quelli di Treviso venivano a giocare qua.
- Qua, più che a Santa Maria del Rovere? 
Qua era un punto [molto frequentato] ... anche perché c'era mio papà che aveva passione. Aveva passione sia di giocare, e quando uno ha simpatia di un gioco porta anche altri. E poi teneva bene la borella, la curava, la preparava sempre, tutto bene, a posto.
- Non è che organizzasse qualche gara, magari il giorno della sagra di San Giuseppe. 
Qualche volta è stato fatto, ma che ricordi io giocavano le bibite o sennò, con la Mestrina, giocavano a soldi.
20:18 - Gian Paolo Martin, che è presidente del "club Coppi di borella", mi ha detto che organizzavano anche dei campionati veri e propri, andata e ritorno. Erano 15 – 16 squadre, dal '75 al 2000. 
Sì, sono venuti fuori dopo, quando è subentrata la gomma. 
- E adesso hanno finito anche loro.
Eh, adesso! So che c'è una borella ancora a Falzè, no a Faè di Oderzo. È coperta, insieme con i campi di bocce ... a fianco c' è la borella. 
Vezzà - Dove c'è il campo di bocce? Non l'ho mai vista.
Busatto - Sì in fianco c'è un gioco della borella che adesso hanno anche loro la gomma.
- Ma giocano?
Non lo so. A Faè, c'è.
21:37 Vezzà - Hanno detto che ce n'è una che praticano tanto a Ca' Tron, da A Teresa. Me lo diceva uno di Casier.
Busatto - So che sono andato due anni fa, no, l'anno scorso, a Faè, e ho provato a buttare anche una baƚa, tanto per provare questa gomma. La borella è là, esiste. È di un privato, un ristorante che ha quattro giochi di bocce e uno, in fianco, di borella. 
- Secondo me, uno dei motivi per cui la borella ha perso spazio è anche perché si trovava in posti strategici da un punto di vista urbanistico, nel senso che valeva anche soldi, questa terra. Tenere un campo di borella o fare una casa...
22:30 Come qua da noi, è stato costruito sopra i giochi delle bocce.
- Può essere anche questa una causa. 
Non è quello, è che è andata giù di moda ... dopo sono subentrate le bocce.
Vezzà - Ma i giochi di bocce, li avevi qua, allora?
Busatto - Sì, avevamo quattro giochi di bocce e la borella.
- Anche a S. Angelo, che non c'era la borella ma solo le bocce, le bocce sono sparite. Mi ha dato tanto l'impressione che essendo questi giochi tutti nel centro del paese, può darsi che il terreno avesse valore...
No la terra ... è ai giovani che non importa per niente questo gioco! È venuto fuori el búli [bowling], altre robe. Loro della borella... 
Guarda, quando ho scritto la pagina sulla borella, ho fatto anche un disegno [uno schizzo di corsia, sóni e cavalletto] per mia figlia, perché mi ha chiesto com'era questa borella, com'erano i sóni. Ha quarant'anni, ma non lo sapeva. Gliel'ho spiegato, era fatta così ... le ho fatto il disegno.
23:34 - Già che ci siamo: la distanza... Mi ha detto che la boccia doveva arrivare "un poco prima". 
Sì, un poco prima; "girandola" era costretta ad attraversare i sóni
- I sóni avevano un'altezza predeterminata, o erano ad occhio?
No, erano circa – mi pare che l'ho scritto – 70 cm, roba così.
- E l'uno dall'altro quanto distanti erano?
Circa a un metro. Non c'era una misura [obbligatoria]. 
- C'era sempre questo circa. Non c'era una misura... 
Vezzà - È un discorso di buon senso. 
Busatto - Più o meno erano tutte uguali.
- Nell'atletica leggera, per dire, la corsia è un metro e 22 di larghezza, se non è cambiata...
Sì, sì ... fra un són  e quell'altro sarà stato circa un metro. 
- E l'altezza del cavalletto, quanto era?
Adesso lo fanno più alto perché con la gomma la boccia sbalza di più, mentre con la terra sta più bassa. Il cavalletto sarà stato alto 10 - 15 cm, al massimo.
- Prima della gomma, quello tradizionale.
C'era tutta terra, attorno.
- Il cavalletto era sempre in legno?
In legno. 
25:04 - E che legno era? 
Oh, un legno normalissimo, normalissimo, perché una volta la terra arrivava fin qua ... copriva.
- Faceva come una montagnola. 
Sì, il cavalletto era come impiantato. C'erano dei paletti sotto; era avvitato in modo che non si muovesse. Doveva essere fisso. In più c'era questa terra che veniva così, in dolce.
- Vedo [guardando lo schizzo di Busatto] che ci sono queste ghiere. Erano fermate sotto? 
Sì, erano fermate sotto. I sòni, sotto avevano 'na s-ciòna de fero, una ghiera di ferro. La ghiera serviva proprio perché fosse piatto, 
e el són  veniva appoggiato. 
Una volta non c'era la sede del birillo: c'era questo liston de legno dritto e si mettevano i birilli in piedi. Loro, avendo la base in ferro, stavano diritti. 
- Pensavo che fossero come incastrati, dentro, leggermente.
Dopo, col tempo, il cavalletto un po' si consumava e si vedeva il birillo un pochino così [storto] ... perché col tempo, l'usura. In quel caso el boreín  cercava di metterlo diritto, di tirarlo.
- Di che legno erano, i sóni ?
Quello dei birilli non lo so. Doveva essere stato un legno molto duro, perché - pur con tutte le botte che prendevano - si rompevano raramente. 

27:02 [Fine nastro 2008/03 - lato A]

Nastro 2008/3 – Lato B  

- Voi, da chi andavate a rifornirvi?

Non so, era mio papà che andava a Treviso [...] Una volta li vendevano dappertutto perché, siccome erano usati, è come adesso che si va a comprare le bocce per giocare.

- Li vendevano anche nei negozi sportivi?

C'erano dei negozi, c’era il falegname che aveva questi lavori, faceva le bocce, faceva i birilli... 

- Lei, del legno, non si è mai interessato di che tipo fosse.

No. 

Vezzà - Neanche delle bocce?

Busatto - Le bocce erano in legno, lo stesso.

01:22 C'erano quelli che venivano via con la baƚa personale: avevano la borsetta appesa alla bicicletta. Ad esempio c'era uno, Gino Matiuzzo, un pensionato da Monastier: lui veniva qua in bicicletta, aveva la borsetta con la sua boccia. 

- Con una boccia sola?

Sì, una, una: si portava via la sua boccia da casa. [...]

Ogni "borella" aveva trenta-quaranta bocce a disposizione, di varie misure, e ognuno sceglieva la boccia che più si adattava alla sua mano. Mattiuzzo, che era un appassionato, aveva la sua boccia personale. 

- Come fanno i giocatori di bocce... 

Come fanno i giocatori di bocce: era molto importante avere la propria boccia. 

- La baƚa aveva un punto... 

02:23 Aveva un punto dove si metteva il dito, una tacca in cui entrava un po' il pollice.

- Una tacca solo? 

Una tacca... «'na tachéta proprio che ghe stava apena el polpastrel, cussì, proprio per tenerla ferma e dopo darghe el giro».

- Ogni osteria aveva... 

Aveva trenta, quaranta, cinquanta bocce…

-  A disposizione, come c'erano i mazzi di carte, per dire. 

C'era il suo cassone, andava là, prendeva la sua boccia... che gli piaceva, e giocava. 

- Siamo arrivati a Ciliano Cervi che, mi diceva sempre Gian Paolo Martin, era considerato una specie di Merx, era un campione assoluto, quasi un professionista che viveva con la borella. Risulta anche a lei che fosse stato veramente così forte? Quasi imbattibile, dicevano. 

03:41 A me risulta che Ciliano aveva delle partite che era eccezionale e certe partite che invece faceva cilecca. Però, siccome lanciava, portava una boccia abbastanza grossa, in realtà, quando riusciva ... faceva l'en plein. 

Però non era "positivo" come suo fratello Giancarlo. Giancarlo era molto più preciso. [...]

- Che mestiere faceva Ciliano Cervi? 

Non lo so.

- Comunque era bravo.

Sì, però aveva questi alti e bassi, non sempre costante. 

04:49 - Quando lei dice "una baƚa grossa", cosa intende? 

Normalmente si giocava una boccia così... Ciliano invece aveva un sistema di giocare che la appoggiava qua [sul polso] ... giocava una boccia più grossa e naturalmente quando una boccia pesante colpisce va via dritta. Però gli dava meno giro, perché essendo grossa bisognava che la appoggiasse bene; era fatica. Per questo dico: quando “intoppava” di metterla bene … bene, sennò gli andava via anche dritta di qua o dritta di là. [...] Al gioco lungo, perché si giocavano ore, è meglio uno come Giancarlo. Positivo, rende di più. 

05:53 - E soprattutto non esagerare con le onbre! 

Eh sì, ha finito di giocare la borella, uno che beve! Sì, bevi 'na onbreta. Ma qua giocavano la gazosa, l'aranciata miscelata con il vino, robe così... 

- Dopo aver giocato a borella uno andava a casa che aveva perso chili.

Pensi che si cominciava a giocare al pomeriggio e si andava avanti fino alle due e tre di notte. Più che altro si interrompeva perché si disturbava, sennò si sarebbe andati avanti ancora.

- Però i vicini... 

E tonféte, e tonféte... bisognava smettere sennò venivano fuori anche i carabinieri!

07:12 - Mettiamo il giorno della sagra, giocavate ininterrotti, si può dire... 

Sì, sì ... ma una volta qua da noi c’era sempre la borella [in attività], era fissa qua. Funzionava più la borella che i giochi di bocce. La borella era uno sport sentito.

- E come mai che è andato a finire così?

Questo è ... i giocatori non si sono più avvicinati a questi giochi per le osterie, è cambiata un po' la mentalità. 

Vezzà - Anche la considerazione: era considerato un gioco grezzo. 

Busatto - Vediamo anche adesso con le bocce. In certe regioni, perché hanno saputo organizzare bene,  impianti sportivi, la sede ... allora c'è quello che va là e passa alle bocce. Ma qua da noi, le bocce... siamo sempre i soliti. Non c'è ricambio. Ci sono pochi giovani, è stata sbagliata la politica, non so, da parte dei comitati. Non ci sono giovani. [...]

08:57 - E [il gioco de] i birilli, anche quelli erano diffusi ... e spàciare

I birilli, sì. Sono venuti dopo, però. Prima c'era la borella, i birilli sono venuti dopo. Quando io ero piccolo, c'era la borella; dopo abbiamo avuto i birilli, anche noi. Sono venuti fuori e abbiamo iniziato a tenerli. 

- Dopo la guerra? 

Adesso gli anni ... non ricordo; comunque la borella era prima. 

- I birilli hanno chiuso prima, o dopo? 

09:40 I birilli continuano ancora. 

- Perché c'erano al Cavallino e alla Bella Venezia [osterie all’interno della città di Treviso] e sono spariti.

Sì. Al Cavallino, alla Bella Venezia ... e poi in giro. Anche quelli vanno scemando. 

- Continuano dove? 

09:59 Vezzà - Sono più verso il Piave, sulla zona del Piave. 

Busatto - Ma vedo, per esempio anche a Villorba: hanno il campo di birilli coperto. All'Olimpia c'è il campo di birilli.

Vezzà - Però a Villorba, al bocciodrómo, quelli che fanno il torneo, le squadre, sono prevalentemente dalla zona del Piave, Roncadelle, Cimadolmo. Insomma i paesi drio el Piave

Busatto - Si vede che anche quelli vanno sempre calando.

- Comunque non hanno una tradizione antica come la borella. 

No, la borella era prima. 

10:44 - Andiamo avanti…  Gino Matiuzzo, diceva, era uno preciso che veniva con la sua boccia.

Era un buon giocatore, mi pare che facesse il contadino, ma di sicuro non lo so. 

- Di Busatto all'osteria Fornaci mi ha già detto. 

Sì, sarebbero miei cugini, quelli là, dove c'è il ristorante, adesso. C'era la borella e il gioco delle bocce.

- All'epoca di suo papà Luigi, chi erano questi Busatto? 

Erano i fratelli di mio papà: Giuseppe, Riccardo [Emilio?], che è mancino e giocava anche a birilli...

11:55 Erano quelli di Quinto che frequentavano molto questa osteria. 

[Leggo dal testo di Busatto...] « ...la corsia in terra battuta era lunga circa 30 metri». 

All'incirca 30 metri, perché erano sempre un poco più lunghe dei giochi di bocce, che sono 27 metri. 

-  Ma il punto in cui ci si doveva fermare, rispetto al cavalletto... 

La rincorsa era di due – tre metri, non si faceva di più, perché se uno esagerava mettevano un segno 

- C'era una pèca... 

La pèca, sì. Era una buchetta per chi giocava a "passo fermo". 

13:13 Perché c'erano due stili: uno con la rincorsa e uno a “passo fermo”, cioè senza fare passi. Praticamente il giocatore faceva un movimento, el meteva el piè dentro su sta pèca, che a jera 'na buséta,  metteva la punta del piede qua così, e dopo faceva un passo a sinistra e lanciava la boccia, ma da fermo. Se vuole glielo faccio vedere, per farglielo capire. [Mi mostra il tipo di movimento, ma ho dimenticato a casa la macchina fotografica!] ... 

- Ricorda un po' il lancio del disco, tra virgolette. 

Era il cosiddetto “passo fermo”. C'erano quelli, come mio papà, che giocavano a passo fermo, così.

14:25 - Aveva dei vantaggi o era un'esibizione di bravura?

No, era "uno stile", così ... forse erano più precisi, quelli che giocavano a “passo fermo”, perché non avevano lo sbilanciamento di uno che fa una breve rincorsa, ma se sbaglia e tentenna un attimo ... Quello che giocava a “passo fermo” era più preciso, però ci voleva più potenza 

Vezzà - A Casier c'era Leone Capitel, che senza essere grasso pesava sui novanta chili- un quintale, gente che lavorava in draga nel Sile

15:30 Busatto - Mio papà era molto asciutto, sarà stato alto 1 metro e 80. Era più grande di me, magro, ma aveva una forza! 

- Quanti figli ha avuto? 

Quattro, due maschi e due ragazze. Antonio (io), poi c'era Enos che è stato ammazzato dalle Brigate Nere, fucilato. 

- È sulle lapidi, Enos, da qualche parte? 

Al cimitero di San Lazzaro, sulla tomba dei partigiani.

Poi c'è la Flora che è morta, e Liliana. 

Vezzà - Era più vecchio di te, Enos?

Busatto - Sì, aveva dieci anni più di me, giusti. Lui era del '25. 

16:33 - E dove l'hanno fucilato? 

Qua dentro, in ostaria. 

- Come mai? Era stato tradito da qualcuno? 

Era già stato braccato. Era stato portato anche al Pio X ed è riuscito a scappare. Una sera, chi lo sa il perché, ha aperto la porta, ed era gente che conosceva , perché lui qua aveva un nascondiglio sotto terra che non lo avrebbero trovato. [...]

Hanno battuto la porta, perché l'osteria era chiusa, e lui è salito di sopra. La mattina dopo hanno trovato tre bicchieri sul banco. Perché noi eravamo sfollati. Cioè si andava via alla sera, si andava a dormire, appunto per questi motivi. Io andavo a Zero, da una mia zia, invece quelli di casa mia andavano a dormire qua in campagna su una casa. Lui ha voluto stare qua, ma aveva un nascondiglio, non era ... Si vede che ha aperto a degli amici, che lo hanno tradito. Proprio gli ultimi giorni, eh. Alla fine della guerra. 

18:25 - Facevate anche da mangiare? 

Eh Madonna! Qua era nozze, sempre, sì, tanta gente da Treviso, tantissimi. Anche cerimonie. 

- Specialità vostra? 

Le specialità di una volta erano i risotti e le tagliatelle fatte in casa, pesce ... le robe che si mangiavano una volta, i mangiari di una volta. Risotto coi figadini, col pesce... un po' di tutto.

- Pesce del Sile?

Noi adoperavamo quasi sempre e bisate del Sil [le anguille del Sile]. 

- Eravate d'accordo con qualche mugnaio? 

Esatto: eravamo d'accordo con i Bordignon, che sono cugini nostri, perché Bordignon ha sposato una Busatto. Quando prendevano bisate, ne prendevano a quintali, una volta, con le peschiere. Il mugnaio, aveva sposato Ernesta, una sorella di mio papà ... era Bordignon Amedeo, che ha il figlio avvocato. Erano quelli che, a quel tempo, avevano i mulini a Quinto. Al bar Graziati, sulla sinistra all'interno: dentro là ci sono i mulini di Bordignon.

Vezzà - Ah, quelli là, alla Stella d'Oro. 

[Si sovrappongono le voci rievocando i mulini di Quinto, poi ritorniamo a parlare della borella]. 

20:42 - Soni.

Sóni, [accento acuto] non sòni!

[Leggo la memoria scritta di Busatto]

21:25 - Insomma le qualità principali del giocatore di borella erano... 

La potenza, la posizione e la precisione del movimento della boccia [...]

Per fare sanmartin bisognava metterla quasi dritta al primo ... primo si chiamava, primo, secondo e terzo [són]. Pendendo il primo in pieno poteva rovesciarli tutti e tre.

22:15 - Era un applauso a scena aperta!

Non succedeva ... ma poteva succedere anche abbastanza spesso. «"Leccava" (sfiorava) il primo, prendeva questo in piedi (il secondo) – perché si raddrizzava – e il secondo andava su per il terzo». Il primo són veniva appena sfiorato in modo da non deviare la boccia che colpiva in pieno il secondo che a sua volta buttava giù il terzo: sanmartin!

Gambarel erano due: o i primi due o il secondo e il terzo... 

23:10 [Riprendo la lettura della memoria] : «Il gioco si poteva fare sia a coppie...»

- Domanda: Una coppia quante bocce aveva a disposizione? 

Giocava tre bocce a testa e si doveva vincere "do cèi" (l’ho scritto, là). Cioè con le prime tre bocce si vinceva un gioco (un cèo). Per vincere la partita bisognava vincere due giochi, do cèi

Praticamente con le prime tre bae chi fa più sóni vince il primo gioco; se il secondo gioco lo vinceva l’altra coppia, allora si faceva lo spareggio. Bisognava vincere due giochi. Se facevi due giochi di fila la partita era vinta subito, senza spareggio. 

24:15 - A terne, invece? 

A terne era la stessa roba: sempre tre bocce a testa, e dopo – in caso di parità – si rilanciava. Chi faceva di più si aggiudicava il secondo gioco e vinceva. Non poteva restare alla pari, perché, beh, si ributtavano altre due bocce (una boccia in meno, si scalava sul numero delle bocce)

Mettiamo che facciamo un gioco ciascuno. Buttiamo tre bocce: se facciamo ancora pari, allora si buttavano altre due bocce. Pari ancora? Due bocce di nuovo, finché una terna vinceva

25:03 - «Oppure individuale, la cosiddetta Mestrina... » 

Quattro bocce ogni uno, tutti i giocatori. In caso di parità quelli che avevano il maggior numero di birilli a parità, giocavano nuovamente per fare lo spareggio. Perché doveva vincere uno, e basta. 

- La prtita aveva una durata? Veniva dato un limite di tempo? 

No, no ... finché era pari si giocava: uno doveva vincere! 

- Se uno stava vincendo e a un certo punto diceva: adesso basta, mi fermo

Eh no... ha perso! Non può dire "mi fermo", bisogna andar avanti; bisognava andare avanti e finire il gioco. 

Quattro bae. Facciamo quattro sóni ciascuno: si rilancia. Se succede che pareggiano due-tre volte, si continua fin a che uno supera l'altro. 

26:36 - E l’individuale, quanti giochi [cèi] doveva fare?

Uno solo: si giocavano quattro bocce. Tutti quanti giocavano quattro bocce. Chi aveva fatto più birilli aveva vinto. Se c'era qualcuno che aveva pareggio ... [si continuava fino ad avere il vincitore]. 

27:24 C'era uno che teneva conto con un gessetto. Sì, perché si giocava in venti venticinque, dipende. Teneva il segno: alla fine, se c'erano due o tre che avevano fatto pari, stesso numero di birilli, rilanciavano, decidendo al momento se due bocce o tre. Chi si aggiudicava (il nuovo giro) vinceva la partita. Perché si puntava ogni volta.

- Diciamo mie franchi [mille lire]...

Di solito da bere, o poche lire.

- Quanto durava una partita? 

Eh… sei una ventina, tutti buttano quattro bocce: una mezz'oretta andava via. Era abbastanza veloce, il gioco. E dopo ricominciava un'altra partita. Si continuava all'infinito.

- Finché i vicini non vi mandavano via… oppure finché in tasca non restava più niente! Per quello c’era qualcuno che "teneva conto", perché ci si poteva rimettere anche la camicia. 

29:03 Eh sì, è successo. È successo che tanti, perché credevano di essere forti, dopo ci hanno lasciato le penne, perché a lungo andare... 

- Senza far nomi, per “lasciare le penne”, cose intende?

Perdevano lire... 

- Perdere la campagna, per dire, perdere un paio di buoi?

Una volta c'erano anche quelli. Magari si sfidavano in tre quattro cinque. Era un gruppetto che puntava forte, e giocavano, giocavano sodo. 

- E gli altri?

A guardare. 

- Come era il clima, quando c'erano poste alte. Com'era la situazione? Chi osservava, “partecipava”?

Si immedesimavano, c'era molta attenzione, ma non è che le cose venissero “pubblicate”. 

Vezzà - Facevano e tacevano... 

Busatto - Facevano e tacevano. Ma noi che eravamo del posto, conoscevamo gli elementi, e sapevamo che là ... la posta era alta. E li lasciavamo stare, sul suo.

30:23 Magari si davano appuntamento a ore strane, in modo che non ci fosse gente. Si mettevano prima degli altri.

- Oppure dopo.

No, prima, di solito, perché dopo chi lo sa a che ora andava a finire,  perché [quelli che giocavano normalmente] giocavano ore e ore, non c'erano limiti...

- Intendo il clima delle persone, di chi guardava... 

Si rendevano conto, e dopo c'era anche qualcuno che puntava. Da fuori gioco puntava: vince l'uno, vince quell'altro; facevano scommesse fra spettatori. C'era chi tifava questo, chi tifava quell'altro, e puntavano; magari conoscevano i giocatori. C’erano le puntate “esterne”, diciamo. [...]

31:42 Vezzà - Non so se te l’abbia raccontato [rivolto a Busatto]. Io sono stato protagonista, sulle bocce, di una roba del genere, senza saperlo. Una sera al torneo d’agosto [...] c'era Joanin P. che era fuori a guardare. Io ero in gara con Piero O.  [...] C'era G. che passa di là e sento Joanin che parla così... «Ciapà qua diese mie franchi».... «diese mie franchi i meto mi...», dice l’altro. Finita la partita, che ho vinto, sono venuto a sapere di  [questa scommessa]

- Ma sulle bocce non c'è l’accanimento di giocare a soldi che c’era sulla borella.

Vezzà - C’è stato in un periodo precedente

Busatto - Adesso molto meno. 

[Torniamo alla borella … ]

33:35 - Vinceva la partita chi vinceva...

Do cei, do man. 

[Riprendo la lettura della memoria] [...]

«Per alcuni anni anche alla Fiera di Treviso [Fiere di San Luca, ottobre] veniva allestita una borella ed i visitatori della fiera, quelli capaci, si cimentavano in gare individuali (la Mestrina)».

Busatto - Sì, mettevano una tariffa, e tutti quelli che volevano partecipare si prendevano un biglietto, si pagava.

- Ah, erano i giostrai stessi…

No, era uno, là… Io sono andato due tre volte e facevano questa borella proprio in occasione delle fiere, sul Prà dea Fiera, un po' in disparte, in uno spazio vicino alla chiesa. Là prendevi un biglietto, pagavi la quota, regolare, e giocavi. Ti trovavi anche in trenta, quaranta; bisognava star là [abbastanza tempo].

Era un privato che organizzava, avrà avuto una licenza, un permesso per fare questa cosa. 

- Non ricorda il nome di chi era questo qua? 

No. 

- Fino a quanti anni fa era? 

Eh, si parla di 50 anni fa!

36:20 [Continuo la lettura e finisco]. «Ogni giocatore lanciava quattro bocce, e chi faceva più birilli vinceva e si aggiudicava il premio in denaro, cioè il totale delle quote versate da tutti i partecipanti, meno la quota parte per chi aveva allestito il gioco [e anche per il boreín]. All’epoca era uno sport molto praticato ed in particolar modo al sabato di sera si protraeva fino alle ore del mattino».

37:39 - Cosa altro si può dire di questo gioco, ancora? 

Si può dire che dopo, con l’andar  del tempo i giovani non hanno più frequentato. È stato un peccato, perché era uno sport "che faceva società", diciamo; faceva compagnia, aggregazione. Passavi delle belle mezze giornate insieme, in compagnia. Difficilmente giocando a borella venivano fuori discussioni: era un gioco semplice, chiaro. [...]

- La pedana di gioco, diciamo così, come la chiamavate?

38:37 “A borèa”.  [...]

- Mi pare che potesse arrivare fino a 19 metri... 

No! Forse dopo, quando è venuto fuori la gomma, forse hanno cambiato, perché avevano iniziato ad adoperare e bae grosse. Ma era più bella la borella di una volta, con la boccia più piccola. Dopo, con le bocce grosse, hanno accorciato un po' e borèe, per andare un po' più da vicino ... 

39:22 - Lei non ha neanche un quadro, [una fotografia]...

No.

- Non posso credere che abbia passato tanti anni, una vita, e non abbia neanche un quadro, una fotografia… 

Una volta non si mettevano via le fotografie della borella... 

- Una medaglia che ha vinto.

Eh no, non si giocavano medaglie, coppe: erano tutte sfide così, che nascevano [...]

40:35 - Toccane è venuto dopo di voi? La prima osteria, per i giocatori che venivano giù da Treviso... 

Era qua... Toccane è nato dopo. Loro erano agricoltori. Avevano ancora i terreni, lavoravano... Dopo hanno venduto le terre, hanno fabbricato là dietro e si sono messi a fare la trattoria. Avevano la terra che da dietro l'osteria arrivava fino al Sile.

41:37 - Quindi vi hanno fatto un po' di concorrenza...

Noi, dopo la morte di mio fratello partigiano [ascolta la testimonianza] qua dentro non ci si stava volentieri, mia mamma, mie sorelle. Sapere che era morto là così, abbiamo abbandonato. Cioè abbiamo affittato l'osteria.  [...]

42:47 - Per curiosità, in casi del genere così... sono cose non piacevoli ... il prete ha fatto il funerale tranquillo, non ha avuto problemi.

Sì, sì hanno fatto il funerale normale, qua a San Giuseppe. Il parroco era don [Francesco] Tonolo.

- E cosa ha detto in chiesa? [...] La gente è venuta al funerale normalmente? 

Sì.

44:07 - Perché c'è anche paura;  dicono: va al funerale di quello... 

No no... eh, c'era tutto il paese, ce n'era anche da fuori. L'hanno ammazzato a tradimento.

Ma a San Giuseppe ne hanno ammazzati due. Uno stava più avanti qua e l'hanno ammazzato dopo di mio fratello.

- Chi era? 

Scardellato [Angelo Scardellato].  I famosi "Frati", li chiamavano di soprannome. Non mi ricordo se si chiamasse Arturo, no… non mi ricordo bene.

[Mio fratello] l'hanno perso a tradimento, sennò lui non apriva. 

Da quella volta abbiamo affittato a uno; poi è subentrato un altro. 

- E voi avete continuato altre attività ... 

45:27 Io ho fatto l'elettricista, impiantista. Avevo una ditta di elettricisti; artigiano. Avevo sei sette operai e ho fatto lavori a Mestre, Trieste, Marghera. Ho fatto anche robe grosse, proprio. 

- Cioè, per dire... 

46:00 Ho fatto gli appartamenti a Marghera del Ministero del Tesoro. Erano 1200 appartamenti. Siamo andati avanti cinque anni. Ero conosciuto, avevo un certo nome. Mi pagavano regolarmente, mi chiamavano loro al primo venerdì del mese, mi davano l'acconto ogni volta: era stabilito così 

- Ha fatto questo mestiere finché è andato in pensione. 

Sì, l’ho fatto per trent’anni.

47:02 [Fine nastro 2008/03 - Lato B]


* * * 


Nastro 2008/4 – Lato A  8 aprile 2008 


(Brigate nere rapano donne durante una festa di matrimonio: ascolta la testimonianza

[...] 

- In che occasione era...? 

In un matrimonio. Si è sposato uno ... “Da Busatto”, quelli che ora hanno il ristorante. Non volevano che ci fosse festa, e hanno rapato tutte le donne a zero. Paura, perché non scherzavano mica!

- Come hanno giustificato? 

Hanno detto "noialtri siamo in guerra e voi fate festa".

Si erano spostati, c'era quello con la fisarmonica che suonava dei valzer, come si usava una volta. Brutta storia. Eh, mi ricordo [...] Sei piccolo, avevo otto anni, sono robe che ti restano.

01:30 - Suo padre era... 

Del '91 [1891] 

- Ha fatto anche la prima guerra mondiale... 

Lui era carabiniere, sì. Andava per le varie caserme, perché era uno molto attivo. Non era un carabiniere di quelli che dormivano, lui i ladri voleva prenderli, in poche parole.

- Non era proprio in guerra, era fuori.

Lo trasferivano sempre dove c'erano briganti, banditi, robe così: non aveva paura.

02:21 - Chissà come mai il carabiniere... da giovane. 

Erano tutti in famiglia, erano diversi fratelli [...] e lui era arrivato maresciallo capo dei carabinieri. Comandava caserme, all'epoca, conosceva le leggi. Rischiava la vita, era continuamente sotto rischio; è andato in pensione ancora abbastanza giovane.

Hanno preso su qua in affitto [l'osteria], e dopo hanno comprato, col tempo.

03:44 - C'era già un'osteria, qua? 

Sì, un’osteria, proprio.

- Di chi era, aveva un nome? 

Dovrei andar vedere sugli atti notarili. Era una signora da Treviso, mi sembra Della Giovanna. 

- La posizione è strategica.

Sì, la posizione è bella, per qualsiasi cosa. [...]

- C'erano anche camere da dormire? 

No, solo trattoria. Diverse sere i signori venivano giù da Treviso ... e dopo nozze, matrimoni, ricorrenze. Qua c'era sempre [...] ero sempre in mezzo alla gente, tanta gente.

05:04 - Adesso c'è un negozio con un nome americano. 

Ha diversa bella roba, tiene tutta roba di marca, perché i giovani vogliono...

- Io mi domando sempre, ma c'è gente che compra questa roba, sì? 

Roba bella, roba firmata, roba che costa, capi rari, unici. 

Vezzà -  Sì, ma dopo ho visto che quando c'è il periodo dei saldi ho trovato delle belle occasioni. 

06:01 Ha proprio quel pallino là, è sempre in giro in cerca di robe: ha passione. 

- Tiene botta, perché non è facile per un negozio piccolo stare a galla. 

Tiene botta proprio per quello, perché se lui tenesse le solite robe che tengono anche nei grandi magazzini, chiuderebbe bottega [...] lui ha roba ricercata.


06:40 Busatto mi mostra dei quadri dipinti da lui e spiega la sua passione per la pittura.

Un giorno mio figlio era letto con la febbre e leggeva un libro dove c’era un bel cane Lassie. Ha voluto che andassi a prendergli dei colori e ha fatto un cane Lassie bellissimo, l’ho di sopra in appartamento, è stupendo.

Ho provato a disegnarlo anch’io, ma non sono riuscito farlo. Però, da quella volta ho iniziato anch’io a disegnare, da solo, guardando dai libri. Ho scopiazzato, ho imparato a mescolare i colori e ho fatto quadri di alberi, nature morte…

- Molto belli!

07:53 Dopo sono iniziate le rogne, che ne ho avute una montagna. 

Mi è morta la moglie e sono stato un anno in ospedale con lei.

Poi mi è morto un figlio [Gianluca] , malato di tumore anche quello. Ho perso il morale di mettermi a fare, e non ho più fatto niente.

- La moglie a quanti anni è morta?

Aveva 62 anni: un tumore su una ghiandola che poi è andato in giro.

08:47 - E il figlio? Tremendo! Quanti anni aveva il figlio?
Il figlio aveva 42 anni, sposato, con figli [leggi il ricordo di Gianluca Busatto nel sito di Gianluca Pellegrinelli]. Quello che dispiace è che era uno che ha sempre studiato, che si è sempre applicato. Era arrivato al clou, era arrivato al massimo, sul lavoro. Faceva il programmatore, ma non programmi piccoli, faceva roba ad alto livello. È andato a lavorare su questa ditta e gli hanno dato in mano la ditta a lui, praticamente. Perché lui gli ha detto chiaramente: “Se voi intendete andare avanti così, io non resto qua” .

Era perito elettronico, ma era sempre stato abbonato a riviste americane e ha imparato l'inglese da solo. Si aggiornava continuamente, mangiava e leggeva contemporaneamente. Leggeva sempre. 

Era andato a fare un corso per programmatori e a metà corso il professore gli ha detto gli ha detto: “Finisci tu il corso, che io devo andar fare un’altra cosa: tu sai più di me!”. E ha finito il corso lui.
Gli hanno dato la ditta in mano a lui: da 12 dipendenti sono arrivati a 80.

- Che ditta era?

 L'Eurosystem. Aveva il mondo in mano... 

11:07 Nastro 2008/4 – Lato A  [Fine intervista]


Gianluca Busatto. Il ricordo della sua morte nella Tribuna di Treviso
(Gennaio 2003 - Dal sito di Gianluca Pellegrinelli)

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PAGINA INIZIALE

Conscio di Casale sul Sile (TV), 1988, durante una gara dell'antico gioco della borella, praticato in Veneto nelle province di Treviso, ...