26 dicembre 2020

13 settembre 2013: rievocazione del gioco della borella presso l’Agriturismo al Sile, Santa Cristina di Treviso.


Trascrizione delle videointerviste presenti su YouTube


Lingua parlata: dialetto veneto (zona ad ovest di Treviso). Trascrizione in italiano. 

 

Borella, 1 - Le regole


(Camillo Pavan) Le regole principali, in due parole, di questo gioco. Quali sono?

(Lino Rossi) Quando si giocava solo nelle osterie, si giocavano - non so - tre bae [bocce] per ognuno e la partita di borella si disputava a un cèo [1], due cèi, tre cèi, come i tre giochi delle carte.

Mettiamo che fossimo in quattro persone, avevamo tre bae io e tre bae quello assieme a me: riuscivamo ad abbattere cinque sóni [birilli] con sei bocce; gli altri giocavano le sei bae e se facevano sette sóni vincevano, se ne facevano sei era pareggio (e in tal caso si spareggiava), se facevano cinque sóni perdevano, e in tal caso il cèo l’avevamo vinto noi.

Si rifaceva il giro con altre tre bae ciascuno… chi faceva sette sóni vinceva il cèo. Alla fine si contava e chi aveva vinto più cèi aveva vinto la partita.

[C’erano tre possibilità] 

a) Baƚa al són: una boccia butta a terra un són = 1 punto;

b) Gambareo [2] se con una baƚa [3] butti a terra due sóni = due punti; 

c) Sanmartin [San Martino], se buttavi a terra tutti e tre i sóni = tre punti

Invece dalle parti del Piave dicevano a) són, b) dimoƚa, c) sanmartin… noi lo chiamavamo gambareo e loro lo chiamavano dimoƚa.

- L’origine del termine “sanmartin” … perché “sanmartin"?

Facevi netto il cavaƚon. Siccome la borella era il “biliardo dei contadini”, quando uno faceva netto, [buttava giù i tre sóni] cos’era? San Martin! A San Martino [4] [i padroni della terra] non arrivavano e ti facevano netto in casa [ti davano lo sfratto]? Era il momento più terribile della stagione agricola. Così era con il sanmartin quando con la boccia buttavi a terra tutti e tre i sóni, e facevi netto el cavaƚon.

02:06 - El cavaƚon era il rialzo su cui venivano poggiati i sóni.

Sulle “borelle” [i campi di gioco della borella] verso Castelfranco e nella zona di Venezia e di Padova, giocavano senza cavaƚon. Mettevi i sóni per terra, sempre distanti un metro e mezzo l’uno dall’altro. Quando giocavi, la palla prendeva così [di lato], entrava, ed era facile far el són, perché correva. Invece con el cavaƚon, la boccia deve prima toccare terra, poi innalzarsi e andare a colpire; se invece la baƚa  restava a terra colpiva la parte iniziale [lo sperone] del cavaƚon e “faceva naso”, e quando ha fatto naso, scorreva di lato senza colpire i soni [co a ga fato naso a ‘ndava via] […]

03:05 - I sóni di che legno sono?

I sóni sono fatti, perché durino, di rovere, ma a volte erano anche leggeri, di pioppo, di platano o anche di olmo. 

- Non c’era un legno particolare?

No: gli alberi che erano nostri, qua della zona.

- Essendo il “biliardo dei contadini”…

Più resistenti o meno resistenti, ma erano alberi della nostra zona.

- E bae, invece?

Le bae lo stesso…

- Non hanno un legno particolare?

Sono di due tre tipi. Ce ne sono di faggio, ce ne sono di olmo, ce ne sono di rovere, platano, pioppo.

03:48 Perché uno che giocava … bae ce ne sono di varie dimensioni: si partiva ad esempio, da 12 [5], da 13, da 14, da 15, 16, 17, 18 centimetri; … baƚa da diciotto [...]

- Perché queste dimensioni diverse?

Perché erano alla portata di ognuno.

Se tu hai un fisico da tirare una baƚa da 17, io non ho il fisico e la tiro da dodici, e pesa manco.

- Quindi, anche quando c’erano i tornei…

Ognuno aveva la sua boccia. Uno poteva avere anche un 20 [cm diametro] e pesava due chili e mezzo. Io ad esempio giocavo con un diciassette e mezzo, diciotto, dipendeva dalla borella [dal campo di gioco] e la baƚa faceva un chilo e nove, due chili    

- Era un bel peso!

Era un lancio di 18 metri.

Quanto era lunga questa qua, come si chiama [la corsia di lancio]?

La borea, dove c’è la pèca [il fermo] da cui si parte.

- Ma [la pista da] gioco qua, come si chiama?

“A borea”, il gioco della borea. Una volta non c’era il trave davanti, che c’è ora; c’era la pèca che segnava la partenza. Una volta, quando la borella era in terra battuta, non c’era né cavaƚon né niente e le borelle erano di 24, 25 e anche 26 metri, [il punto ] da dove si partiva. Però sempre - da dove lanciavi la baƚa al primo són saranno stati 20 metri, 18, 17… perché … insomma … venti metri non sono pochi.

05:25 - Non c’era una misura [standard]?

No, no… ogni borella aveva [le sue distanze], non ce n’era neanche una di giusta. Chi faceva la borella, la faceva secondo… [lo spazio che aveva]. Però quando noi vedevamo che c’erano delle borelle corte, allora arrivavamo con delle bae grosse, perché era facile giocare “in corto”; quando invece le borelle erano lunghe, calavamo il peso della baƚa, perché  dovevi spingere di più.

- Quali erano le borelle più famose?

Le borelle più famose, io che ho giocato tutta la storia, sono tutte nel territorio nostro qua, di Treviso… Una volta era alla [durante la] Fiera di Treviso [6] che si giocava la borella.

C’era una borella “Da Coppi”, a Catena [di Villorba], che era storica e dove ogni anno, ultimi di luglio primi di agosto, c'era quella che chiamavamo la Fiera della borella, da Coppi[7].  
Però le borelle in cui noi qui abbiamo giocato tanto erano a Quinto, Zero Branco; dopo c’era… non so… Paese, Treviso, perché la città di Treviso gioca la borella. Dopo sul Piave, giocavano abbastanza: Maserada sul Piave, Breda di Piave, Saletto… quei paesi là, Villorba, si giocava forte a borella.

06:49 Le borelle storiche, dove sono nati proprio i club, erano qua… poi Istrana, Ospedaletto, Vedelago, perché anche là c’erano i club: tre club che sono sorti, uno era a Casacorba, il nostro [S. Cristina di Quinto], e un altro a Loreggia, erano i tre club che hanno fatto… dopo siamo arrivati a sette otto club.

Facevano il campionato, ognuno aveva la sua borella, i soci erano iscritti… ma dopo era libera a tutti quanti.

- Ma chi ha cominciato questo campionato, quando è sorto? Perché mi dicevi che ognuno [giocava anche] sulla sua terra …

07:24 Mi ricordo che, quando da noi non c'era ancora la borella, c’era il cortile, ci siamo fatti tre sóni con la cortèa, [8] alti così. Confinava con noi l’osteria da Cesaron… quando i veciòti giocavano, le bae che e sbrissava, [sfuggivano] e venivano di qua sul paƚù, noi andavamo sul paƚù a prendersi queste baete cèe , ma avevamo dieci dodici anni e trovavi queste baete e giocavamo a borea con queste baete … cinquant’anni fa! 

- Era proprio una roba molto sentita

Sì, sì. Alla domenica o al sabato i ragazzi qua del colmello, ci trovavamo e si giocava a borella qua da noi o sulla casa di là. Quello era proprio il passatempo di una volta […]

08:08 - I giocatori più famosi

Fabbian Isaia, da Castelminio, che è uno dei primi. Dopo c’era Cervi Ciliano, che è morto, era un altro grosso giocatore;


Memorial Ciliano Cervi di borella. (Gazzettino 10 settembre 1994)

dopo c’ero io Lino Rossi che ero uno dei grossi giocatori; ce n’era uno da Loreggia, si chiamava Gianni Vescovo;[…] Guido Franchetto da Cavasagra; Renzo Menegazzi da
Cavaríe [Cavrie di San Biagio di Callalta] e dopo c’era Mattiuzzo Gino da Monastier, che era forte. Sulla zona di Venezia c’era un giocatore che chiamavamo Péo Meneghel….
- Sulla zona di Venezia, dove era?

Era da Favaro Veneto

- Arrivava fino a Favaro, la borella?

Sì, anche alla Gatta, giù di là [ai confini con il comune di Mogliano Veneto]; poi c’era “Ferro”, di cognome Scaggiante.

- Non a Mestre?

Sì… al limite di Mestre si giocava la borella.

09:09 - Il limite del gioco della borella, hai detto, era Loreggia…

Camposampiero, Loreggia, Mestre, poi si andava su fino a Castelfranco; la zona qua della Pedemontana, perché ce n’erano a Musano, anche Crespignaga, Maser; si andava avanti fino al Piave, fino a Saletto e fino a Oderzo, prima di Oderzo [9].

- Era il Veneto centrale: tre province, Padova, Treviso e Venezia.

Mi ricordo che io e mio fratello, che anche lui era abbastanza un bel giocatore, organizzavamo le gare e una volta abbiamo fatto una gara da Busatto e ci siamo trovati in 145 giocatori, qua, da Busatto a [San Giuseppe di Treviso]. E si giocava anche giorno e notte, una settimana intera.

10:01 - Una settimana intera in che occasione?

Niente, si faceva la gara; si facevano i preliminari; nelle serate… uno si iscriveva per entrare in gara; si facevano le gare, entravano due tre giocatori si raggiungevano venti giocatori che si iscrivevano … pagavano una quota magari di sinquesento franchi [500 lire] e i primi tre che si classificavano entravano per giocare la finale alla domenica, quando c’era la finale.

- Era al di fuori dai tornei, questo

Sì, queste erano gare libere.

[…]

Qua a Santa Cristina, in una gara, con quattro bae ho fatto dieci sóni, sul cavaƚon, non è facile: buttato giù due sanmartini e due gambarei, non è facile.

Rossi: Ecco arriva un altro giocatore! Si chiama Arnaldo Mogno

Mogno: Io ho vinto una gara, qua a Santa Cristina, dopo il canale [di là del Sile]

Rossi: E' l’unica!

Mogno: E' l’unica che abbiamo fatto, e l’unica che ho vinto!

11:25 Ce n’era più di una, borella…

Mogno: In ogni osteria c’era la borella; anche nelle famiglie l’avevamo! Ogni famiglia; noi avevamo una borella, in famiglia.

Che mestiere facevano, a casa sua?

I contadini.

Rossi: Era il biliardo dei contadini.

Mogno: Era il biliardo dei contadini, la borella. Borella e bocce, lungo la stradina.

Chiedevo prima: che legno era che adoperavate?

Non lo so, non ricordo.

Rossi: Faggio, platano, pioppo, olmo [10].

Mogno: Platano, platano…

Chi le faceva,  le bae?

12:05 Rossi: come si chiama quello che faceva le bae?

Mogno: Benozzi Ilario, da Santambròso [Sant’Ambrogio di Trebaseleghe PD] vicino alla trattoria Al Fassinaro.

Rossi: Sì lo so, sono andato a farmi le bae, là.  

Era un laboratorio artigiano?

No, era uno che aveva il tornio…

Mogno: Sì, laboratorio tipo falegname.

Rossi: Che faceva la bae… un altro era qua a Santa Cristina, lo chiamavamo Fonso Tèto […] Fonso, quello che aveva due dita… faceva bae, faceva sóni.

- Il termine cèi, per dire una partita… una partita era un cèo?

No un cèo… sarebbero stati tre cèi, su una partita

- Come dire un set…

12:55 Rossi ripete il concetto: Io e Mogno facevamo una partita. Io giocavo quattro bae, lui giocava quattro bae. Io facevo quattro sóni, lui ne faceva cinque e vinceva il cèo.

Dopo, partiva nuovamente lui…

- Sarebbe stato il primo set.

Mogno: chi arrivava prima a tre, vinceva

Rossi: chi arrivava prima a tre cèi vinceva la partita. Si potevano vincere driomàn [di seguito]. Sennò si poteva andare uno io, uno lui; ancora uno io e uno lui che fa due a due e poi chi vinceva il terzo vinceva la partita.

- Perché mi dicevi che hai durato anche una settimana di gioco…

Quelle erano gare di borella. Si facevano i preliminari, si facevano le qualificazioni serali.

- Durare una settimana! c’erano tanti iscritti, allora…

Ma una volta giocavamo in cento, cento cinquanta quando si andava a fare una gara di borella.

13:41 - Il motivo che mi ha sempre sorpreso, che non sono riuscito a capire: perché ad un certo punto è sparito questo gioco così diffuso?

Rossi: Sono mancati questi (si tocca i bicipiti). Sono mancate le braccia e poi è venuto fuori il benessere e la borella era un gioco dei contadini. I ragazzi andavano in discoteca, perso tutto. Guarda, io ho tirato su i miei figli, che sanno giocare tutti e due, che hanno giocato anche in gara, loro. Ma dopo io ho lasciato [mi go moƚà], ho lasciato tutto, ed è finito.

Mogno: Stasera andiamo a Fossalunga a giocare.

14:14 - Ah, c’è una borella, a Fossalunga, in che osteria, in che posto?

Dove c’è la chiesa, andando verso Pezzan, avanti cento metri, a sinistra c’è il Circolo Anziani.

- Ma non più in paese, in un’osteria.

No, no: è il centro anziani.

[Generalità del nuovo intervistato]: Mogno Arnaldo, classe 1938, vincitore nel 1963 di un primo a Santa Cristina e un secondo premio a Scorzè.

Rossi: Pensa che io il primo premio l’ho vinto a 18 anni…

Mogno: Ma questo era un giocatore di borella!

Rossi: Alla Balzera di Zero, il primo premio. Alla Balzera, dove c’era la fornace. Ma ad esempio a Quinto di TV, da Congregai [Al Cavallino] c’era la più lunga borella del nostro territorio: era lunga 28 metri. Beh, in gara, a 15 anni [nel 1958], che Gomiero e venuto qua e ha vinto il primo premio, ho fatto il quinto premio e con un baƚa ho fatto sanmartin: borella di terra, e tutti quanti mi hanno applaudito: a quindici anni: buttato per terra tutti e tre i sóni!

Mogno: era un fenomeno a giocare, Lino.

15:36 Che baƚa avevi?

Tutte bae personali. A quindici anni giocavo con un “16”… pesava un chilo e quattro etti. Dopo sono cresciuto e ho cominciato a fare uno e sette, uno e otto anche due chili, dipende.

- “Sedici”, intendi 16 cm di diametro?

Di diametro. Ecco queste [due bae che gli porge Mogno] saranno “16”.

- C’è un modo per tenerle?

Sì, c’è la pèca [una tacca sulla baƚa in cui appoggiare il pollice]: guardala qua. C’era chi la faceva più profonda, dipende dalla preferenza del giocatore. Perché c’era chi giocava alla borella e lasciava andare la baƚa dritta così e invece c’erano quelli che con la pèca tenevano la baƚa e la remenavano così, in modo che quando arrivava qua sul telo [lo strato di gomma dura che è posto davanti e a lato del tratto iniziale del cavaƚon] la baƚa saltava su, sui sóni.

- Era là che si vedeva l’arte!

L’arte era questa si partiva con la baƚa dritta e quando la lasciavi andare le facevi fare un mezzo giro, così; in questo modo [toccato terra a lato del cavaƚon] saltava e andava a colpire i sóni. Se invece la lasciavi andare diritta, toccava terra e andava via dritta [Rossi lancia  - a mo’ di esempio - una baƚa in questo modo].

16:55 - Come chiamavate, in termine tecnico, quel modo di girare la baƚa?

Menarla. [Vengono fatte un paio di dimostrazioni sulla differenza fra lanciare la baƚa menàda e dritta].

Mogno: Ma una volta si menavano poco, perché non c’era “l’asfalto” così. C’era la terra, con un po’ di buca [di rialzo] così.

Rossi: C’era la terra, con un po’ di schiena

- Che differenza c’era, con la terra?

Mogno: Si andava meglio, con la terra. Non occorreva menarle, andava bene lo stesso.

Rossi: Sì, ma la terra era … questo è il discorso… che se per caso il fondo non era tenuto bene duro, la baƚa arrivava là, a se insopàva [si azzoppava] e andava via. Se invece il fondo era battuto bene, un fondo duro di terra, allora la baƚa entrava… 

Mogno: bisogna sempre dare un po’ di giro alla baƚa.

- La tecnica del vero giocatore era quella di menare la baƚa… a differenza delle bocce, o anche con le bocce bisogna fare così.

Mogno: No, le bocce vanno lanciate dritte.

[18:12 /19:04 Arriva Matteo, il nipote di Lino Rossi e abbatte un birillo… lo metta a dimora… è guardato con compiacimento dal nonno e da Mogno]

19:04 - Mogno, secondo lei perché è finito il gioco della borella?

Non ci sono più ragazzi che giocano; quando abbiamo finito noi anziani, non c’è più nessuno.

Rossi: Perché è una roba che non ha più interesse. Non c’è più interesse sociale, non interessa niente, non c’è interesse di soldi…

Mogno: Tutti hanno discoteche, hanno qua, hanno là … i giochi di borella e di bocce non ci sono più, ormai.

- I club sono sorti nel momento finale della storia della borella

Rossi: Eh si, i club sono arrivati negli anni ’70 / ’75; si era ormai verso la fine.

- Era un tentativo di fermarne la fine…

Rossi: Poi i club si sono rotti anche loro e non c’è più niente.

Mogno: Negli anni ’80- ’85- ’90 - ’95 non hanno più giocato, i club.

Rossi: Fino al 2000 si è giocato un po’…

Mogno: Fino al ’95 si è giocato, fino al ’98… perché ricordo che […?] Dopo non si è più giocato. [...]

Rossi: Dopo tutti gli anziani, quelli che giocavano alla borella, sono morti ... un pochi, … e poi sono rimasti gli altri pochi, e poi cosa vuoi, uno sposato, quell’altro così, quell’altro colà.

 

 

Il dopogara (ricordi)



Spettatore: Tre colonne devi fare.

Rossi: Sì tre colonne, perché erano tre partite… e poi segnavano i risultati. Finito li scrivevano qua. [Mostra un blocco note, sui cui sono segnate le colonne e alcuni nomi, per mostrare come venivano conteggiati i punti nelle partite]… Uno faceva tre punti + due = 5 in totale, un altro ne faceva 4 , un altro 4. Poi  nell’altro giro, questo ne faceva 4, quest’altro 2; questo ne faceva due anche lui… e allora finiti i cèi, si faceva il totale… 9 … 8  … 6

Chi aveva fatto 9 punti ha vinto i cèi [e la partita]. Tutto qua… e avanti, così si segnavano le partite.

Mogno, ad esempio, perdeva sempre… [battuta!]

Pavan: Un ganbarèl l’ha fatto anche Mogno…

Rossi:

Pavan: Onore al merito!

Rossi:  devo giocare una baƚa [per via di un caffè in palio]…


[I partecipanti alla serata si siedono attorno a un tavolo. Il figlio di Lino Rossi porta in tavola vino bianco, rosso bibite e del pesce fritto e fiori di zucca]. Lino Rossi invita a bere... “evviva”. Seduto al suo fianco destra si trova Luigino Smaniotto, autore della maggior parte delle foto e delle riprese video].

Rossi: Vino bianco nuovo [pinot bianco], per la borella… viene invitata a bere anche Laura Martinello che sta riprendendo la scena

01:27 Lino Rossi ricorda che quest’anno [2013], l’11 novembre, sono 25 anni che è aperto anche il suo agriturismo.

Angelo Rossetto, ex olimpionico di canottaggio: io invece  […] ho preso il primo són, abbattuto, la baƚa ha saltato sopra il secondo , che è rimasto in piedi, saltato sopra il terzo e anche quello è rimasto in piedi… e ho fatto un són solo… e di punta, tum, tum… El són per terra, battuto l'altro (il secondo) sopra, di punta e da sopra la punta ha preso il terzo, pure rimasto in piedi…

02:07 Rossi: Il massimo di sóni…  sul lancio , qua, dei venti metri… penso di aver fatto il record perché ho fatto dieci sóni con quattro bocce. Angelo! [...] è stato il massimo record dei sóni.

Rossetto: una volta in gara… quattro bae e quattro sanmartini, ha fatto…

Pavan: E di chi è questo record?

Nascimben, da Conscio […] c’ero anch’io.

Pavan: Nascimben, cosa?

Nascimben Elio [Elio Nascimben, detto Joe]

Rossetto: A Canizzano, ne ho visto un altro, che è andato fuori, ha perso, perché ha fatto : tre sanmartini e ha sbagliato la baƚa.

Pavan: Come sarebbe a dire, sbagliato la baƚa?

Ha sbagliato l’ultimo tiro. Ha fatto tre sanmartini e contavano le bae su un són solo e l’ultimo l’ha sbagliato […?]

03:14 Pavan: Lei ha fatto l’esperienza del boreín.

Giampaolo Schiavon: el boreín, sì. [Giampaolo Schiavon, di Santa Cristina, è nipote di Lino Rossi; cfr. 04:04]

Pavan: Ma ha anche giocato, dopo…

Schiavon: Non ho mai giocato, perché ho la mano storta! non sono in grado di “menare” la baƚa.

Rossi: Però a buttare indietro le bocce era bravo.

Pavan: Però mi ha detto che si è guadagnato anche centomila lire, non è un modo di dire… 

Schiavon: Tanto tempo fa. Sulla gara, perché dopo - finita la gara - facevano le gare fra di loro, per soldi…

Rossi: E chi vinceva pagava el boreín.

Schiavon: E là venivano veramente fuori i soldi. Perché sulle gare erano quelli prefissati, trentamila lire, cinquantamila lire; però dopo, finite le gare si giocavano i soldi.

Rossi: mettevano su [in palio] magari duecentomila lire e ne tiravano fuori diecimila per il boreín, ad ogni gioco. Io portavo via lui come boreín  … io e mio cognato [Pettenà ?]… era fratello di mia moglie, era carabiniere. Chiamavano el ceo, e io el ceo l’ho portato via. E quella sera ho portato a casa trentaquattromila lire…

Rossetto: In quegli anni erano soldi… era lo stipendio di un mese.

Rossi: Nel 1964 io prendevo 67 mila lire, da carabiniere, ero dei carabinieri…

Ce n’è un altro che bisogna ricordare come giocatore. Noi avevamo Toscan, che era amico di mio padre, Toscan Giovanni, insieme a mio padre che era Rossi Luigi, c’erano Marangon Achille, Nello Feltrin. Toscan, arrivava qua in bicicletta, aveva la baƚa davanti, personale, su una borsetta… e una scarpa. Aveva una scarpa. Perché la scarpa? Quando arrivava qua, si levava le sue scarpe, perché  a giocare la borella si consumavano, sulla ghiaia…

05:02 e si era fatto fare la scarpa sinistra con il tacco più alto, perché giocando a “posto fermo” fermo come ho giocato io prima [el boreon], lui col tacco riusciva a mettere la gamba sinistra davanti e col tacco alto così trovava il giusto equilibrio per giocare bene la baƚa.

Spettatore: Si metteva a livello! 

Rossi: arrivava, smontava dalla bicicletta, si metteva su la scarpa… era bello vederli, questi qua!

Spettatore: Gioco truccato!

Pavan: Ce ne sono di storie; era la vita, di un paese!

Spettatore: [Crosato… abita nella casa che confina con l’agriturismo, commerciante di…]: Chi giocava… c’erano due file di panche, di sedie o in piedi che li guardavano, eh! Voglio dire, era seguita, anche, dal pubblico.

Rossetto: Da Coppi, quanta gente non c’era?

Rossi: Quando si giocava così, diceva: guarda ha un occhio per giocare la borella! Sì… e l’altro dietro, di rimando: “sì el te ciava a poenta e anche el tocio!”. […]


06:09 La maratona della borella e il gioco a soldi


Rossetto: Gli hai raccontato della maratona?

Pavan: Da Busato, mi pare che dicessi…

Rossi: Da Busato, sì, organizzavamo le gare noi, ma erano gare singole. La maratona era a Caéna [Catena di Villorba], sarebbe stata la “fiera dea borea”;

06:26 era la stagione dal 31 luglio, primo di agosto, e giocavamo… si partiva alla mattina, si veniva a casa la mattina successiva e dopo ci si fermava a mangiare un po’ e a riposare e poi si partiva ancora, fino al lunedì sera. Si partiva al sabato di mattina e si veniva a casa al lunedì pomeriggio, perché là la fiera continuava… Là c’era una borella che ci sarà stato minimo 200 persone a uso pubblico di continuo , perché le persone riempivano tutto quanto l’ambiente. Là, da tutte tre le province arrivavano con i loro gruppi grossi con le loro bae personali. Era una sfida proprio aperta, senza storie e senza niente.

Crosato: La serie A della borella.

07:09 Rossi: Era come le olimpiadi della borella: tutti calibri grossi, tutta roba veramente eccezionale. Venivano fuori anche risultati … c’è stato anche… dopo non diciamo le cifre! Qua Angelo Rossetto si ricorda bene: è arrivato a prendere anche un milione e mezzo [di lire] con due bocce. Col gioco, insomma. Dopo, per giocare due bae e buttar su 350 mila lire era… [una monada.. facile] … era un gioco così. Erano gli anni ’70 - ’80.

07.35 Rossetto: Una sera sono andato a casa alle sei di mattina. Sono andato a casa e sugli ultimi quattro giochi ho perso io più di un milione e mezzo… e però sono andato a casa e ho contato i schéi, ho tirato fuori i soldi che avevo per le tasche e avevo ancora quasi tre milioni [di lire].

C’erano i pittori, là, tremavano quando cominciavo giocare… e dopo gli ultimi giochi li ho persi io…

Pavan: sempre in questa maratona?

Rossetto: Sì, sempre là, sempre là…

Rossi: Bisogna dire che quando c’era una gara si perdeva, anche. Non era sempre che si vincesse, ragazzi: siamo onesti!

Rossetto: Sì, se vedevi che non andava ti levavi e dicevi “ostrega go ancora da magnar”… andavo a mangiare qualcosa, ma non ero là. …

Rossi: queste sono storie di una volta…

08:25 Rossetto: Beh, a Catena, là, ci sono stati tanti reclami, dopo, di donne che andavano [a reclamare]… perché a vedere l’altro che apriva il portafoglio e poi lo richiudeva… perché si “era scaldato il braccio” [aveva perso tutto?] … la mattina dopo non c’era più!

Rossi: Ecco qua, ti presento un altro… [che sta arrivando.]

Pavan: il signor Ottorino Gomiero.

Rossi: Gli abbiamo raccontato la storia di quella volta a Quinto, Da Congregai, che io ho fatto un sanmartin in gara, e quella volta tu hai vinto il primo premio e io ho fatto il quinto. Non ti ricordi? Avevo quindici anni!

Gomiero: Io ne avevo sedici, avevo un anno di più, insomma! Quella è stata l’unica gara che c’era coppa unica, primo premio

Rossi: Era una borella di 23-24 metri di lancio.

Gomiero: Quanti? Di più!

Rossi: Erano venti otto.

Gomiero: E dopo là avevamo un giocatore che adesso ci è mancato, Renzo Lazzaro, che giocava con mezza baƚa, nel senso che l‘aveva rotta… ma lui se non aveva quella baƚa là non gli piaceva… gli mancava un fetta, un pezzo…

Pavan: Non c’erano regole che gli impedissero di giocare, con quella mezza baƚa … poteva giocare con la baƚa che voleva?

Gomiero: poteva giocare con la baƚa che voleva, con qualsiasi baƚa; solamente che lui aveva simpatia per quella ... [sbrecciata] e quando non l’aveva, quando cambiava diceva… “non sono capace di giocare se non ho quella baƚa”. È la verità?

Rossi: È vero …

10:00 Lazzaro Renzo non era un grosso giocatore, però era un uomo forte e gli piaceva giocare la borella, però lui aveva piacere avere la baƚa con il centro, però che fosse rotta. Se era rotta, avendo le dita grosse la prendeva e “se la sentiva in mano” e quando tirava, tirava giusto. Se invece era con poca pèca così, la baƚa gli scivolava a la buttava via. E lui se la godeva a giocare con questa baƚa… era un uomo veramente forte, perché  - te l'ho detto prima [rivolto a uno spettatore]… una volta stava arando la terra e si è piantato un bue, l’ha preso per le corna e l’ha tirato fuori, per dire quanta forza che aveva.

 

10:35 Club di borella di veneti emigrati all’estero o in Italia


Pavan: A Toronto

Rossi: Sì, sul Club Veneto

Pavan: Avevano un campo?

Rossi: sì, avevano il gioco delle bocce, il gioco della borella… hanno tutti giochi. C’è la pista di ballo

Spettatore [forse Luigino Smaniotto] : … allora continueranno anche adesso.

Rossi: Sì, sì: ce l’hanno anche adesso: io ho giocato tre-quattro anni fa e Enzo ha giocato le bocce.

Pavan: Non hanno il problema dei giovani, allora…

Rossi: Loro, lì, sono tutti italiani che hanno sessanta settant’anni… e io a Toronto ho giocato e lì ho fatto stravedere, perché … loro “giocavano” e io sono arrivato là e “ho fatto netto” […]

11:11 Hanno detto: “ma tu sei un maestro”!... Eh, ho detto… era venti anni fa, avevo sessant’anni [no, dieci anni fa… Lino Rossi è nato nel 1943], a Toronto, proprio, un bel club.

Pavan: In Australia anche, giocano?

Rossi: In Australia, sì, sì. Ho trovato domenica scorsa uno che è stato qua [all’agriturismo] e ha detto che non poteva restare ancora perché doveva tornare su, perché “ho da fare una gara fra un mese”

Luigino Smaniotto: Forse anche in Argentina.

Rossi: in Argentina non so. Sono stato in Argentina a Buenos Aires, Mendoza, Cordoba, ma non ho visto la borella.

11:45 Invece a Toronto sì, ho giocato, e in Australia giocano a Sidney, a Melbourne.

Smaniotto: Tuttora.

Rossi: Sì, giocano, giocano attualmente. Io ho degli amici. Anzi si sono portati su le bae da qua. Si sono fatti fare le bocce ognuno e se le sono portate in fondo da loro.

Pavan: E in Italia, dove ci sono emigranti veneti, a Latina?

Rossi: In Lombardia. A Como, sì… sono andato a giocare anche a Como

Pavan: Dieci anni fa, questo, sempre…

Rossi: Saranno venti anni fa…

Pavan: Ormai è finito anche là.

Rossi: Eh, ho paura; non so, non credo più ci siano borelle. So che era vicino a Rovello Porro, in quello zone là. Ora non so. Io avevo mia sorella là…

Pavan: Erano veneti, emigranti…

Rossi: Tutti trevigiani… o veneziani o padovani…

Pavan: Avevo visto anche giù, nelle bonifiche pontine, da quelle parti là.

Rossi: io sono stato anche ad Arborea, e non ho visto borelle, e sì che ci sono tanti trevigiani. Non so a Latina…

Pavan rivolto a Rossetto: a Latina dov’è che giocavano?

Rossetto: a Borgo Grappa [11] … [nei primi anni] … io sono nato nel 1946 e avevo sette otto anni, e là giocavano a borella.

Pavan: Lei era emigrante là?

Rossetto: No, sono andati giù al tempo della bonifica

Pavan: e giocavano questo gioco… borella e… anche “il quarantotto”, no?

Rossetto: Sì, ma hanno giocato poco il “quarantotto”; e anche la borella dopo un pochi di anni l’hanno buttata via.

Pavan: Adesso non c’è più di sicuro; Sabaudia?

Rossetto: No, no … sicuro; qua in Italia non c’è più. Sparío [Sparito]

 

 

******

 

El boreon (una variante della borella che si gioca da fermo)


Pavan:  A tre metri di distanza?

Rossi: E uno non poteva andare più avanti… e si metteva qua così.

Pavan: Da fermo?

Rossi: Sì, da fermo … uno bisogna che avesse preso la posizione giusta del són e saper buttare la palla diritta… [Fa un lancio di prova e abbatte il són centrale] … l’ho tenuta alta per prendere il primo, ma è fatica.

Pavan: Pur essendo vicino così, non era facile.

Rossi: Non è facile, l’equilibro … [altro tiro: due abbattuti]… “è il minimo farne due”

Smaniotto: Ci vuole forza, in modo da dargli…

Rossi: No, non è forza, basta sapere buttare la baƚa giusta … se io prendo la punta del primo, va sul secondo con forza e poi va anche sul terzo… “Adesso non so se sono capace di farcela” [altri due sóni abbattuti]…

01:33 In primo piano la grossa baƚa

Pavan: quanto sarebbe? Sarà da tre chili

Eh sì, allora ha la forza… Perché  con questa qua non occorre giocare forte…

Altro tiro di Rossi, altri due sóni abbattuti… commento di Rossi: non è la baƚa giusta, ci vuole la baƚa grossa…

02:15 Un lancio di Gomiero [due sóni abbattuti]

02:42 Un certo Fabio… dopo un primo tiro a vuoto, col secondo tiro abbatte due sóni


Note

[1] Un “cèo”, era la frazione base della partita, come nel gioco delle carte “un giro, una mano” [Emanuele Bellò: Dizionario del dialetto trevigiano di destra Piave]; oppure, come nel tennis o nella pallavolo, il “set”.

[2] Nei dintorni di Treviso era più diffusa la dizione gambarel.

[3] Nota sulla trascrizione della elle evanescentedi bala e cavalon. Questi termini non sono stati trascritti come vengono pronunciati (“baea” “cavaeon”); si è usata invece l’indicazione del manuale di Grafia Veneta Unitaria edito a cura della Regione Veneto nel 1995 (coordinatore-direttore scientifico Manlio Cortellazzo) inserendo, al posto della l italiana, il segno ƚ indicato dal manuale. Quindi baƚa (solo al singolare, perché al plurale la “l” «è completamente (o quasi) caduta nella pronuncia» e cavaƚon.

[4]11 novembre: data di scadenza e rinnovo dei contratti agrari. Una data cruciale e tremenda per le famiglie che non erano in grado di pagare l'affitto della campagna o che, comunque, il padrone voleva sfrattare perché non sufficientemente "produttive". Cfr. la poesia del veronese Berto Barbarani San Martin (da "I Pitochi", Primo Canzoniere, Verona, 1897)

[5] Centimetri di diametro.

[6] Fiere di San Luca, in Prà dea Fiera a Treviso, in ottobre.

[7] In occasione della Fiera bovina, primo lunedì di agosto, e della concomitante sagra paesana. Cfr. manifesto 2019

[8] Cortèa: tipico attrezzo agricolo trevigiano (“coltellaccio”, cfr. Emanuele Bellò, alla voce e in TAV. XI “Inpreste de Contadin”) utilizzato principalmente per “far sièsa” [potatura delle siepi]… molto simile al podetto visibile in una delle tavole di Agostino Gallo, Le dieci giornate della vera agricoltura e piaceri della villa (1564) pubblicate dal sito http://www.abcvox.info/2017/01/31/agostino-gallo-1499-1570-un-agronomo-pubblica-nel-1564-le-dieci-giornate-della-vera-agricoltura-piaceri-della-villa/ .[Ultima consultazione 24.12.2020]

[9] Ma giochi di borella erano presenti anche a Caposile, nell'osteria con tabacchi e casoín di Mario Padovan, nonché a Portegrandi (VE) (presso la conca di navigazione del Sile), dove dietro l'osteria di Dante Marchetto c'erano "tre campi di bocce e tre di borella", molto frequentati dai barcari. (Cfr. C. Pavan, I paesi e la città in riva al Sile, p. 112 e Sile, alla scoperta..., p. 183).

[10] In realtà il legno più utilizzato, a detta di molti altri testimoni, ero l'ópio (acero campestre).

[11] Cfr. Emilio Franzina - Antonio Parisella,  La Merica in Piscinara: emigrazione, bonifiche e colonizzazione veneta nell'agro Romano e Pontino [...], Francisci PD,1986, p. 305: «Qui [a Borgo Grappa], oltre che alle classiche bocce si gioca anche alla " borella " e al " quarantotto " due varianti venete di questo gioco».


 


Manifestazione proposta da Camillo Pavan e organizzata da Lino Rossi, ex giocatore di borella e proprietario dell’Agriturismo Al Sile.


 


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Conscio di Casale sul Sile (TV), 1988, durante una gara dell'antico gioco della borella, praticato in Veneto nelle province di Treviso, ...